venerdì 14 novembre 2008

UDC: Per Binetti e Villa due pesi e due misure!

Qualche giorno fa commentavo le dichiarazioni di Cesa e Pezzotta relative al Caso Binetti, scoppiato nel PD. I due noti leader dell'UDC tra le altre cose affermavano «... non possiamo non evidenziare che quando una parlamentare possa essere messa sotto accusa e sottoposta a giudizio del suo partito solo per avere espresso il suo parere su una norma della Chiesa cattolica, rappresenti un evento preoccupante». Aggiungendo poi: «Abbiamo sempre difeso la libertà di espressione e contrastato ogni atteggiamento di discriminazione nei confronti di qualsiasi persona. Ci preoccupa però la possibilità che si possano creare nel nostro Paese situazioni e condizioni che possano inibire la libertà di espressione e che, surrettiziamente, si possa introdurre il reato di opinione».
La posizione espressa appare chiara: un rappresentante politico NON può essere espulso, cacciato o accusato dal suo partito se esprime una posizione personale su una questione di principio attinente ai valori stessi di appartenenza a quel partito, quand'anche fosse radicalmente difforme dalla linea ufficiale del partito stesso. Emerge poi una posizione di "decisa" difesa della libertà di espressione e di contrasto a qualsiasi atteggiamento di discriminazione.
Parlando con Stefano Bolognini, ai margini di una registrazione televisiva, mi è stato fatto invece notare quanto diverso sia stato l'atteggiamento dell'UDC nei confronti del suo consigliere nazionale, Alberto Villa. L'esponente dell'UDC Ligure, ai margini della polemica sorta intorno al Gay Pride di Genova, aveva fatto coming out pubblico in un'intervista al Secolo XIX del 10 settembre scorso, esprimendo dubbi rispetto alla posizione dell'UDC in materia di Pride, coppie omosessuali e adozioni e ritenendo compatibile il suo essere omosessuale, cattolico ed esponente di un partito come l'UDC appunto.
In quel caso la replica del Commissario regionale, Rosario Monteleone non si è fatta attendere neppure 24 ore (altro che Veltroni che finché può evita di prendere posizioni, per poi barcamenarsi tra distinguo e balletti di "ma anche"): «Voglio smentire categoricamente che quella espressa da Alberto Villa sia la posizione dell'Udc locale o di quello nazionale. Dev'essere chiaro che il nostro iscritto ha parlato a titolo esclusivamente personale» ha dichiarato al Secolo XIX. «Villa sa molto bene - dice Monteleone - quale sia la linea dell'Udc nei confronti della famiglia, dei Dico, delle adozioni per gli omosessuali. Quindi, ribadisco, ha parlato a titolo esclusivamente personale, ciò che ha detto non corrisponde in maniera assoluta con quanto il partito dice da sempre e con i valori che difende».
Monteleone fa seguire alle dichiarazioni stampa un intervento TV su Primo Canale in cui ha screditato politicamente Villa, dicendo che «è un semplice iscritto e non conta nulla». Cosa falsa in quanto Villa era al tempo membro del consiglio nazionale dell'UDC, era anche stato a capo dello staff politico dell'assessore regionale Adolfo nella giunta di centrodestra e aveva coordinato diverse campagne elettorali liguri.
L'epilogo della vicenda matura a poco più di un mese dopo, il 22 ottobre scorso, quando un amareggiato Alberto Villa rassegna le dimissioni dal consiglio nazionale dell'UDC e dal partito, spiegando in una lettera a Casini, Buttiglione e Cesa di essere stato "estromesso e emarginato" a seguito delle sue dichiarazioni.
Si tratterebbe, in pratica, di una sorta di mobbing politico.
Ecco la sua ricostruzione dei fatti: «Ho visto reazioni veramente stravaganti anche nel mio partito. Come se a Genova dovessero arrivare orde di pazze seminude con le piume, ho sentito parlare di oscenità e di carnevalate. E ho deciso di intervenire. Che io sia omosessuale ritengo che lo sapessero tutti, ma fino ad allora era un fatto mio. Ho fatto outing per chiedere un dibattito nel partito. Invece ho ricevuto un attacco inaudito dal segretario regionale Monteleone che ha perfino dichiarato di non sapere bene chi fossi: io gli ho organizzato la campagna elettorale».
Vana anche l'attesa e a speranza di un intervento conciliante dalla segreteria nazionale «Invece, intorno a me si è fatto il vuoto. Sono diventato invisibile. Ci sono dei silenzi molto rumorosi. Mi hanno messo nella condizione di andarmene e allora va bene, me ne vado. Però voglio dire che io sono cattolico, credo nella famiglia, ma penso anche che si possa quanto meno discutere del riconoscimento dei diritti delle coppie — non dico delle famiglie — omosessuali o delle coppie di fatto eterosessuali. Così come avevo chiesto di discutere sul problema dell'adozione da parte dei gay, non dico che sia la cosa giusta da fare ma solo che se ne può parlare. Invece no, nell'Udc non se ne può parlare». Villa non crede di essere stato discriminato ma afferma: «Mi hanno avvolto nel silenzio. Quello che mi è successo è la dimostrazione di quanto fa paura il Gay Pride. E di quanto fa paura spiacere alla Curia».
Ancora una volta è il commissario Monteleone a replicare duro: «È vero, abbiamo preso le distanze da Alberto Villa, non perché sia gay, ma perché ha fatto dichiarazioni a titolo personale sulla famiglia, sulle coppie di fatto, sulle adozioni di bambini da parte di coppie gay che non sono in linea con l'opinione dell'Udc.
Non abbiamo nulla contro i gay, non siamo loro nemici, ma siamo per la famiglia tradizionale, quella composta da uomo e donna, quella indicata dalla Costituzione. Mai, per quel che ci riguarda, le coppie gay potranno adottare dei figli. Capiamo perciò il suo disagio a restare in questo partito».

Ora, va certamente innanzitutto precisato che mentre le affermazioni della deputata pseudodemocratica Paola Binetti sono fondamentalmente ingiurie nei confronti degli omosessuali, che vengono accostati alla pedofilia in modo surrettizio, le posizioni di Villa erano di tenore ben più politico, non insultavano o offendevano nessuno, ma puntavano ad aprire un dibattito interno al suo partito su alcune questioni di indubbia rilevanza sociale.

A questa richiesta l'UDC ha risposto con una chiusura dogmatica e pregiudiziale, con un silenzio e con un atteggiamento di delegittimazione politica che è ben peggiore di un "processo di partito", perché subdolo, e sotterraneo, senza la neanche una minima possibilità di contraddittorio e di confronto sui contenuti. Perché su quei contenuti non è neppure ammissibile il confronto! (Del resto sempre in quella puntata di Anno Zero con me Casini definì "un'abberazione" la legge spagnola che consentiva alle coppie gay di adottare).
Cesa e Pezzotta (ma potremmo citare Volontè e altri) che per il caso Binetti hanno deciso di superare i confini del proprio partito per tendere una mano di "solidarietà" alla deputata sotto accusa in nome del contrasto alle discriminazioni e della difesa della libertà di opinione, non hanno ritenuto di esprimere neppure un pensiero su un caso così grave interno al loro partito. Neppure due righe di dispiacere o di ringraziamento per un uomo che per tanti anni aveva offerto il suo impegno all'UDC e che adesso era costretto a lasciare nel silenzio.

Al di là delle parole di Villa che ci sia stato un atteggiamento discriminatorio a me sembra evidente dall'andamento e dall'esito della vicenda. E allo stesso tempo non posso che giudicare coerentemente integralista la posizione dell'UDC che ha deciso di rinsaldare la sua immagine compatta di partito cattolico ortodosso. In questo quadro hanno legittimamente ritenuto che le aperture politiche e i dubbi sollevati dal consigliere Villa non fossero compatibili con la linea di partito e si sono comportati di conseguenza.

Il punto è: perché allora pretendere di ergersi a difensori della libertà di opinione per una questione che investe le dichiarazioni della Binetti e il suo rapporto con un ALTRO partito?

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