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venerdì 16 aprile 2010

Inammissibili e non fondati

E dopo tanta attesa, compreso il rinvio della discussione dalla scorso 23 marzo, la Corte Costituzionale si è pronunciata proprio il 14 Aprile (mio compleanno), sulla questione del matrimonio omosessuale.

Come noto, la domanda era stata sollevata dai tribunali di Venezia e Trento (a cui si erano rivolte delle coppie omosessuali insoddisfatte del rifiuto opposto dalle rispettive amministrazioni comunali alla pubblicazione nuziali) per dichiarare l'illegittimità delle norme, per altro non così esplicite e univoche come si potrebbe credere, che impediscono il matrimonio tra persone dello stesso sesso, in nome degli articoli 2 (diritti inviolabili dell'uomo anche nelle formazioni sociali), 3 (uguaglianza dei cittadini), 29 (diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio) e 117,primo comma (ordinamento comunitario e obblighi internazionali) della Costituzione.
La decisione nuda e cruda è stata di giudicare inammissibili (artt. 2 e 117) e non fondate (artt. 3 e 29) le richieste. Respingendo di fatto il ricorso.
Il primo sentimento che emerge è di grande tristezza e amarezza per l'ennesima occasione buttata. La speranza di qualche milione di italiani di vedersi riconosciuti una "possibilità" e la pari dignità e uguaglianza degli altri cittadini nelle proprie scelte affettive e familiari.
Con poco più di coraggio, che in altre occasioni la Corte ha pur dimostrato, innovando a più riprese i nostri codici e le leggi contrarie proprio ai basilari principi costituzionali (articolo 2 e 3), molte delle quale ereditate dalla monarchia e dal fascismo, oggi l'Italia si sarebbe trovata di colpo riaccolta nel consesso dell'Europa più avanzata, in barba ai nostri bigotti legislatori, e dimostrando la straordinaria vitalità e modernità del nostro sistema di diritto e di garanzie che trova l'architrave proprio nella Costituzione.
E invece ci troviamo costretti a rilanciare una battaglia e allo stesso tempo ad arginare una disillusione sempre più forte che spinge molte e molti di noi a riconoscersi sempre meno in questo Paese che a tutti i livelli ci vorrebbe invisibili e privi di diritti che altrove sono ormai scontati.

Proprio adesso però NON DOBBIAMO ARRENDERCI perché una cosa è risultata chiara da tutta l'operazione che ha portato fino alla Corte Costituzionale. Che le istituzioni non possono ignorarci, che troveremo sempre dei modi di inchiodarle alle loro responsabilità e quando ci cacciano dalla porta noi rispunteremo dalla finestra e se anche la finestra fosse chiusa proveremo dal solaio, dalla cantina, scoperchieremo il tetto delle ipocrisie e delle bugie e speriamo di non dover abbattere l'edificio!
Naturalmente sulla sentenza infausta, e prima ancora di leggerne le motivazioni (che a loro poco importano) si sono subito fiondati come avvoltoi i soliti noti. La pessima Roccella, già tra i promotori del Family Day nel 2007 e oggi sottosegretario alla Salute (scranno da cui fa ostruzionismo in tutti i modi alla legge 194 sulla interruzione di gravidanza, tra le altre cose), si scatena in acrobazie (il)logiche degne di miglior causa: "La Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi sui matrimoni omosessuali dichiarando infondato il richiamo agli articoli 3 e 29: la famiglia non può che essere, secondo i giudici, una 'società naturale' composta da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio". Come già siamo abituati a sentire per lo stesso articolo 29, nel quale si leggono uomo e donna che il costituzionalista non ha mai scritto, l'azione di mistificazione viene estesa adesso anche a semplici annunci di sentenza.
È importante precisare infatti che la Corte NON ha mai dichiarato illegittimi i matrimoni omosessuali, ma che sulla materia può (e forse sarebbe dovrebbe) decidere il legislatore. E se può si evince chiaramente che non solo il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è vietato ma è PIENAMENTE CONSENTITO anzi un provvedimento di riconoscimento dei diritti delle coppie, sotto forma matrimoniale o altra appare, dalla lettura delle motivazioni AUSPICABILE e in qualche modo persino DOVEROSO, di fronte ai cambiamenti intervenuti nella realtà sociale e culturale del Paese e di fronte a un quadro internazionale in progressiva evoluzione che ugualmente spinge in questa direzione.
Checché ne dica la talebana Roccella che prova anche a mettere paletti al legislatore e a farci credere di non essere una fan dei diritti costituzionali …
C'è poco da dire sul ministro della famiglia (al singolare per carità) Giovanardi, che canta prematuramente vittoria con parole fotocopia della collega di governo.
Alla fiera delle frasi fatte decide di non mancare il suo inutile apporto anche Isabella Bartolini, ignota esponente della direzione Popolo delle Libertà (quali) che rispolvera questo adagio "Nel nostro Paese ognuno può vivere come meglio ritiene basta che stia all'interno delle leggi. Non si possono però trasformare i desideri in diritti illegittimi". E poi, con la coda di paglia tipica del suo partito aggiunge: "Mi auguro che dopo questo giusto pronunciamento della Corte Costituzionale non di debba assistere allo sgradevole show da parte di qualcuno che ci verrà a raccontare che nel nostro Paese c'e' la dittatura. Sarebbe veramente stucchevole oltre che profondamente falso".
L'hanno informata che in Italia l'unico a criticare la Corte (e non soltanto le sue sentenze) , parlando proprio di "dittatura dei giudici di sinistra", è il suo capo e datore di lavoro? Ma ormai siamo abituati, se si tratta di immunità e privilegi di uno sono il PDL si mobilita, quando in discussione sono i diritti civili di milioni si specula!

Tornando alle motivazioni della sentenza, pubblicate ieri a tempo di record, possiamo provare ad azzardare pochissime considerazioni, evitando di cadere in un eccesso di negatività, per cogliere alcuni spunti interessanti e tutttal'tro che scontati, possibili appigli per azioni prossime sul tema.
Le aperture maggiori della Consulta giungono motivando l'inammissibilità della richiesta relativamente all'articolo 2 (la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale)
della Costituzione.
Coerentemente con questo dettato i Supremi giudici riconoscono che "per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri". Subito però la Corte esclude"che l'aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio"
perché "spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d'intervenire a tutela di specifiche situazioni" (grassetti nostri).

In tutta chiarezza, secondo le stesse parole della Consulta al Parlamento spetta stabilire il COME tutelare le COPPIE OMOSESSUALI e non certo il SE tutelarle, tanto che la stessa Corte si dichiara sin d'ora competente a intervenire e deliberare di fronte a concrete fattispecie discriminatorie (e i ricorsi potrebbero essere tanti, ad esempio su pensione di reversibilità, diritto di lavoro, sanità, separazione delle coppie, etc.)

La questione sollevata con riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29 Cost. (argomentata in maniera secondo me eccellete dai tribunali ricorrenti e dai legali delle coppie coinvolte) è stata ritenuta NON fondata.

La Corte decide di "prendere le mosse, per ragioni diordine logico", proprio dall'articolo 29 che "stabilisce, nel primo comma, che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare»".

"La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita "società naturale" (con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell'Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere)".

Speriamo che adesso Casini, Buttiglione, Volontè, Roccella, Pezzotta, Storace, Rutelli, Binetti, ma anche D'Alema, Bersani e company la smettano di sbandierare il termine, tutto giuridico di "naturale" in senso pseudo naturalistico di "uomo e donna / Adamo ed Eva animali da riproduzione, ovvero come un richiamo a un presunto "diritto naturale" immodificabile perché fissato ora e sempre da Dio o chi per lui…

A contraddirli le stesse parole della Consulta immediatamente ribadiscono che "è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere "cristallizzati" con riferimento all'epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell'ordinamento, ma anche dell'evoluzione della società e dei costumi".
Dopo l'indoratura della pillola arriva però la mazzata: "Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d'incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata".
"Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l'art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.
Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un'interpretazione creativa. Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto".

Insomma secondo i giudici costituzionali non c'è ombra di dubbio su a "quale" matrimonio intendessero riferirsi i costituenti. A quello eterosessuale disciplinato dal codice civile del 1942. Tanto più che, pur conoscendo la "condizione omosessuale" non presero la questione delle coppie omosessuali minimamente in considerazione. Qui sta secondo me una piccola crepa argomentativa, perché se quanto sopra detto rispetto alle intenzioni dei costituenti è certamente vero è pur vero che a quel tempo la condizione omosessuale non era per nulla associata a rivendicazioni di diritti, né individuali né tantomeno di coppia o coniugali, ma semmai considerata alla stregua di una devianza sessuale da nascondere e che nessuno avrebbe mai rivendicato pubblicamente. Non esisteva proprio il fenomeno delle coppie omosessuali in cerca di riconoscimenti e diritti e forse neanche delle coppie omosessuali tout court. Queste sono emerse soltanto diversi decenni
dopo, assumendo una crescente rilevanza numerica e rivendicativa soltanto 15 o 20 anni fa.
Nell'arricchire le argomentazioni a sostegno della sua tesi la Corte fa riferimento anche alla finalità procreativa dell'unione matrimoniale ritenendo "Non casuale (…) che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall'unione omosessuale".

Su questo punto ci sarebbe molto da redire intanto perché questa osservazioni non supera i rilievi mossi dagli stessi tribunali di Venezia e Trento circa le coppie eterosessuali che per motivi di età o di salute risultino incapaci di procreare e rispetto al caso di matrimonio, giustamente consentito, per i/le transessuali con persone (e solo con loro) del medesimo sesso di nascita, nella evidente impossibilità alla procreazione "naturale". Senza considerare appunto che l'evoluzione della tecnica e della medicina, unitamente all'accresciuta consapevolezza delle persone omosessuali, consentono oggi superare dei limiti nel 1948 tutt'affatto impensabili, come dimostrano il crescente fenomeno, in Italia come nel resto d'Europa, delle famiglie omogenitoriali.

Giunti a questo punto la Consulta si sente in grado di liquidare in poche parole la questione dell'uguaglianza posta dall'articolo 3: "In questo quadro, con riferimento all'art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio".
Secondo i giudici, insomma l'impossibilità per le coppie omosessuali di sposarsi non dà luogo a una violazione del principio di uguaglianza perché l'articolo 29 fa riferimento" inequivocabilmente" a un matrimonio tra uomo e donna fissando quindi una sorta di "legittima eccezione", e poco importa se per stabilire questa inequivocabilità l'interpretazione fa riferimento proprio alle norme del codice civile che si vorrebbero abrogare (il classico cane che si morde la coda insomma). Ma c'è di più: quando i giudici affermano che le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio, esprimono una sorta di tautologia, in quanto non sono omogenee ora e proprio per questo aspirano a esserlo potenzialmente. Non sono omogenee nella stessa misura in cui non lo sono le unioni eterosessuali NON sposate che però possono, oggi, decidere se e quando dare la veste giuridica del matrimonio al loro rapporto. Cosa, invece ancora ingiustamente impedita alle coppie omosessuali.

In conclusione al momento la Corte ha ritento che NON sussiste un diritto costituzionale al matrimonio per le coppie omosessuali , ma allo stesso tempo NON ESISTE certo un divieto a tale riconoscimento. ANZI il concetto di MATIMONIO è sottoposto a un'evoluzione sociale culturale che incide anche sulle norme giuridiche che lo regolano, come è evidente dalle soluzioni trovate da diversi paesi europei dalla cultura giuridica "affine" alla nostra.
Esiste invece un preciso diritto delle coppie omosessuali a vedere riconosciuta e tutelata la loro condizione. Diritto che chiama in causa la discrezionalità del legislatore sui modi di garantirlo (con il matrimonio e/o altri mezzi) ma non più sulla opportunità o meno di farlo.

Da qui, da subito possiamo ripartire. Anche sottolineando una cosa. Alla sentenza del 14 si è giunti per l'azione di qualche decina di coppie coraggiose e determinate in giro per l'Italia (che dobbiamo tutti ringraziare) e dalla volontà e impegno di due associazioni "giovani" ma intraprendenti: Rete Lenford e Certi Diritti.

Quest'azione nel suo complesso non è stata sostenuta con enorme entusiasmo dalla gran parte del movimento glbt, Non ha visto mobilitazione di massa né tra gay e lesbiche e neppure nella società civile più attenta alla questione (senza il cui appoggio difficilmente otterremo mai risultati tangibili). Anche per noi, insomma, un'occasione perduta di dibattito, sensibilizzazione e unità di intenti su un punto che sicuramente non è l'unico e per molti neppure il più importante della nostra agenda, ma che potrebbe essere sicuramente un obiettivo unificante e simbolicamente decisivo.

domenica 5 ottobre 2008

Napolitano papista?

Soltanto qualche giorno fa Antonio Di Pietro ha invitato Il Presidente Napolitano a non essere papista. Cioè a non fare generici inviti alla concordia ma assumersi in pieno le sue funzioni di garante della Costituzioni intervenendo sul Parlamento per sollecitare le nomine (Giudice della corte Costituzionale e Presidente della Commissione di Garanzia dell'informazione) ancora pendenti.
Di Pietro ha sbagliato. Ma non perché, come si è subito affrettato a dire Veltroni, non si possa mai criticare il Presidente della Repubblica... anzi...
Ma perché se il Presidente Napolitano fosse papista allora saprebbe decisamente come imporre la sua volontà, le sue priorità e le sue decisioni.
Conclusione? Ieri Ratzinger è stato in visita al Quirinale per dare lezioni private al nostro Presidente su come essere veramente papisti in Italia. Se avrà bene assimilato la lezione vedrete che il buon Tonino non avrà più a lamentarsi...

domenica 28 settembre 2008

il papa per la parità scolastica, ancora?!?

Non passa giorno che il dibattito politico italiano non sia alimentato da un appello o una richiesta papale o della CEI o di qualche porporato, prelato, vescovo, abate, prete di periferia. L’altro giorno l’attenzione della CEI si era rivolta alla politica sull’immigrazione, ieri il papa in persona ritorna su un leit motiv delle richieste vaticane al governo e alla politica italiana: “La parità tra scuole pubbliche e private e l’effettiva libertà di scelta per le famiglie”.
Come è noto ad animare la preoccupazione del pontefice e della CEI non è una elevata motivazione di principio a tutela della libertà ma interessi ben più mondani e concreti. LA parità scolastica e la libertà di scelta, infatti, ci sono già, garantiti dalla costituzione e dalle leggi vigenti. Quello Che la stessa Costituzione esclude, però, e che le scuole private possano essere finanziate dalla Stato (“senza oneri per lo Stato” recita l’articolo 33). Questa norma è stata già in buona parte aggirata ed elusa attraverso un finanziamento diretto alle famiglie che scelgono istituti privati, sostegno che alcune regioni incrementano ulteriormente. Ma questo non basta. Le numerose scuole cattoliche vorrebbero di più, per migliorare la “qualità” e attrarre più studenti.
La Chiesa Cattolica riceve in Italia miliardi di Euro l’anno - tra 4 e 5 - in varie forme: sgravi ed esenzioni fiscali, facilitazioni di ogni genere, 8 per mille, 5 per mille convenzioni onerose con enti locali, finanziamenti alle scuole cattoliche, cappellani militari, insegnanti di religione, contributi per la costruzione o il mantenimento di chiese etc. Sembra non averne mai abbastanza e spesso non si fa scrupolo di utilizzare queste risorse in contrasto con la lettera e lo spirito dello stesso Concordato di cui pretende tutti i privilegi, per intervenire pesantemente nella vita politica ed elettorale del Paese.
In questo quadro, inoltre, i vescovi sono ben consapevoli dell’importanza del controllo dell’istruzione per intervenire sulla formazione delle coscienze delle future generazioni e per rafforzare quindi la presenza e l’influenza culturale e sociale sul paese. Poter estendere la sua presenza in questo settore vuole dire tentare di assicurarsi il potere per gli anni a venire. Non è escluso che l’attuale Governo decida di subappaltare l’istruzione alla volenterosa Chiesa Cattolica!
(venerdi' 26/09/2008)

giovedì 18 settembre 2008

Lula a favore delle Unioni Civili. E Napolitano?

"Bisogna finirla con i pregiudizi di questo tipo. Ogni essere umano può vivere la sua vita come vuole".
E Poi "Per tutta la vita ho difeso il diritto all'unione civile, e bisogna finirla con l'ipocrisia. Ci sono uomini vivendo con uomini, donne con donne, e molte volte vivono bene, straordinariamente. Costruiscono una vita insieme, lavorano insieme e per questo io sono favorevole. Ognuno viva la sua vita come vuole, basta che non rechi danno al prossimo".
Ancora: "Ci sono consigli comunali che hanno già approvato, così come assemblee di vari stati dell'Unione e ci sono progetti nel Congresso Nazionale. Ho partecipato alla conferenza Nazione Gay-Lesbica e non capisco perché i politici brasiliani che sono contro non rifiutano allora il voto di queste persone, o lo Stato non rifiuta le tasse che queste persone pagano".
Conclusione"Bisogna trattare senza alcuna discriminazione la vita che ognuno conduce dentro di casa, se uno vuol vivere con una donna o con un uomo è un problema solo suo. L'importante è che siano cittadini brasiliani e che rispettino la Costituzione e rispettino il loro impegno con la Nazione".
A parlare così non è uno dei leader del movimento GLBT brasiliano e neppure un esagitato estremista a caccia del voto gay, ma un leader carismatico e amatissimo dal suo popolo: il presidente della repubblica del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva, che, intervistato ieri sul canale statale Tv Brasil, ha fermamente difeso l'unione civile tra omosessuali.
Ecco di fronte a tanta chiarezza, coraggio e decisione del Presidente brasiliano non posso che esprimere gioia per il popolo brasiliano e complimenti a Lula.
D'altro canto il pensiero torna con una certa amarezza alla nostra situazione italiana, dove parole così nette non le pronuncia nessun leader di partito e neppure l'unica rappresentante dichiaratamente lesbica del Parlamento, Paola Concia, che pure cerca di fare quel che può in un contesto non favorevole. I presidenti e i principali leader da noi fanno piuttosto la coda al meeting di CL ed evitano di incrociare persino lo sguardo con esponenti dei movimenti GLBT. (L'unica eccezione di rilievo, che però non è stata premiata dalle urne alle ultime elezioni, è stata quella dell'ex Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, che ha partecipato a un confronto elettorale al Circolo Mario Mieli).
Per non parlare del "nostro" presidente Napolitano che, impegnato com'è a baciare le mani al Papa, quando si tratto di discutere una legge vaghissima sulle coppie di fatto, non parlò affatto dei diritti dei cittadini ma della sensibilità delle "gerarchie cattoliche".
Anche alla mia lettera dello scorso giugno, sul fatto che una piazza (San Giovanni) fosse negata con tanta leggerezza a una manifestazione (lettera che aveva avuto anche una minima eco sulla stampa nazionale) non ha ritenuto di rispondere neppure con due righe formali della sua segreteria. E lì non si parlava di diritti degli omosessuali ma del basilare diritto di manifestazione del pensiero per tutti i cittadini.
Io non mi sono sentito per nulla tutelato e rappresentato da un Presidente che ha preferito fare orecchie da mercante per non contrariare la Curia e il Governo appena eletto. Che credibilità ha adesso quando "predica" sul valore della Carta Costituzionale? Per me pari a 0!

Foglio di via al disturbatore Paolini: violata la Costituzione

In seguito all'ultima incursione dietro le telecamere del TG1, in diretta dall'aereoporto di Fiumicino, lo scorso 13 settembre, la Questura di Roma ha decretato un "foglio di via obbligatorio" per il "disturbatore televisivo" Gabriele Paolini.
Il provvedimento impone a Paolini di stare lontano dal comune di Fiumicino e dall'aereporto Leonardo da Vinci per 3 anni.
Secondo una nota diffusa dalla Questura, questa misura, emessa dalla locale divisione anticrimine, diretta da Antonio Del Greco, e già notificata a Paolini, è motivata dai suoi numerosi precedenti penali e dalla circostanza che, nell’occasione, lo stesso non è riuscito a giustificare la propria presenza in aeroporto, «non espletando un’attività lavorativa nel comune di Fiumicino e non essendo in possesso di alcun biglietto aereo».
Posto che Paolini è certamente un pesonaggio eccentrico e scomodo, che il suo attegiamento invadente e scontroso è motivo di scompiglio, e risulta inviso, antipatico e fastidioso a molti. Voglio puntualizzare alcune cose.
1) A rigore piazzarsi dietro una telecamera che fa un servizio in un luogo pubblico non è di per sè un reato, sicuramente non giustifica provvedimenti restrittivi così pesanti. Né gli interventi violenti e muscolari cui spesso assistiamo verso lo stesso Paolini.
2) Nessun cittadino italiano deve fornire giustificazione alcuna sul dove e sul perché si trova in un posto. A meno che non decidiamo definitivamente che siamo in uno stato di polizia.
Giusto a promemoria l'articolo 16 della Costituzione recita: "Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche".
Paolini, quindi, come ciascuno di noi può recarsi a Fiumicino, come a Santa Marinella, anche se non deve fare una cena di pesce, e nessuna questura è autorizzata a sindacare. I limiti che si possono imporre sono solo "in via generale" e per chiari motivi "di sanità e sicurezza". Ora che Paolini possa dare fastidio alle dirette RAI ci sta tutta, che la giornalista spintonata voglia sporgere querela va bene pure, ma non mi sembra che qui ci siano problemi di sanità e sicurezza.
3) "il foglio di via obbligatorio" è uno strumento studiato è introdotto negli anni di piombo contro il terorrismo. Insieme a un'altra serie di altri strumenti simili di dubbia costituzionalità. Comunque sia è un provvedimento che dovrebbe essere utilizzato con estrema cautela e in via "eccezionale" e non certamente in modo indiscriminato verso chi spintona una giornalista o insulta il Presidente del consiglio (perché secondo me questa è la vera ragione che nessuno ha il coraggio di dire) o un marchettaro napoletano a Villa Borghese.
Qui oltre alla libertà di circolazione sul territorio della Repubblica del già citato articolo 16 inteviene un'altro principio fondamentale: l'articolo 13 della Costituzione recita: "La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto".
Intendiamoci se a me viene impedito di lasciare il mio comune di residenza, o di non andare da qualche parte, a me come individuo, e non "in via generale per motivi di sanità e sicurezza" questo è un chiaro provvedimento di "restrizione della mia libertà personale".
Il provvedimento di cui parliamo, un foglio di via, non è un provvedimento giudiziario ma "dell'autorità di pubblica sicurezza", non è provvisorio, perché dura 3 anni, e, nel caso specifico, non mi sembra neppure urgente perché non credo che il rischio alle dirette RAI da Fiumicino sia tale da giustificarlo. Oltretutto le telecamere dei TG stanno ovunque e non solo a Fiumicino, per cui il provvedimento verso Paolini risulta, in questo caso, oltre che ridicolo tanto inutile quanto evidentemente punitivo e vessatorio.
Credo che Paolini, eccentrico, fastidioso, provocatorio quanto vogliamo non sia certo uno stupido e farà ricorso, e questa è solo una sua decisione personale.
Ma ritengo che sia dovere di tutti noi tenere le antenne sempre all'erta su un progressivo scivolamento su quei principi fondamentali di libertà che vengono sempre più spesso ignorati o calpestati. I prossimi ad essere colpiti potremmo essere proprio noi!
In questura invece dovrebbero forse ripassare un po' la Costituzione Italiana visto che dovrebbero tutelarla e difenderla anziché rischiare di violarla. La mia speranza è che mettano tanta solerzia nella caccia ai veri criminali e non solo nel controllo di fastidiosi ed eccentrici personaggi che, in fin dei conti, non fanno gan danno (a parte rendere un po' più divertenti e vivaci certi noiosi servizi giornalistici).

giovedì 11 settembre 2008

Guzzanti processata per vilipendio al papa. Italia di oggi peggio che nel Medioevo?

La notizia del rinvio a giudizio per le parole sul papa pronunciate in Piazza Navona durante il NO CAV DAY da Sabina Guzzanti era in parte attesa. Il nostro codice penale, con una scelta a mio modo di vedere opinabile (del resto parliamo del codice Rocco di età fascista!!), equipara la protezione al Capo dello Stato con quella offerta al pontefice...
Nella sua satirica invettiva la Guzzanti ha "osato" prevedere l'inferno per Benedetto XVI... Mi viene da pensare che anche Dante circa 700 anni or sono, in pieno Medioevo fece lo stesso con l'allora regnante Bonifacio VIII (verso il quale era tutt'altro che tenero collocandolo in unabolgia "riservata ai papi simoniaci" - Canto XIX della Divina Commedia!), senza incorrere in nessun problema giudiziario.
Forse che l'Italia del Medioevo era più libera e rispettosa della libertà di critica e di pensiero di quella di oggi?

Sulla vicenda posso riportare un episodio accadutomi personalmente circa 6 anni fa (per l'esattezza il 14 novembre 2002), in occasione della visita di Giovanni Paolo II in Parlamento, accolta con una unanime acclamazione da parte di tutti gli schieramenti politici.
Quel giorno era prevista una piccola manifestazione per la laicità a piazza Navona, ma io, testardo, avevo deciso di recarmi in piazza del Parlamento con un piccolo cartello "PER UNO STATO LAICO", da mostrare al passaggio della papa verso l'ingresso della Camera, in mezzo al resto della folla acclamante.
Naturalmente non sono neppure riuscito ad entrare in piazza: la polizia preoccupatasi per il mio cartello mi ha fermato, caricato su una volante e portato prima in commissariato e poi in questura. Appena giunto, l'ispettore Pierro, che mi interrogava provò subito a farmi dire che io "manifestavo contro il papa", e io: "no manifesto per uno Stato laico", lui: "uno stato laico vuol dire contro il papa" io: "no parlo di uno Stato che tenga ben distinti l'ambito della religione da quello della politica".
Per farla breve secondo me l'ispettore provava ad attribuirmi proprio un reato di vilipendio al papa (cosa che sapendo possibile evitai appunto) e alla fine non trovò di meglio che procedere presso il PM per qualcosa come la "Tentata sedizione"... naturalmente di questo procedimento non ho più saputo nulla e adesso sarà archiviato in qualche polveroso scaffale della Questura o della Procura, ma il risultato pratico è stato quello di manifestare liberamente il mio pensiero e i miei sentimenti di rabbia per quella visita come quelle poche centinaia di persone assiepate di fronte al Parlamento a manifestare la loro gioia per il medesimo evento. La folla poteva essere solo osannante quel giorno come quella di piazza Venezia durante uno storico (ma quanto storico?) ventennio!

giovedì 5 giugno 2008

Caro Presidente, difenda la libertà di manifestazione!

In merito alla questione della Piazza San Giovanni negata, visto la gravità che attribuisco al fatto, come negazione di un pieno diritto non solo per la comunità glbt, ma davvero per tutti i cittadini italiani, con quel che implica per la tenuta dei diritti democratici del nostro Paese ho deciso di scrivere al Presidende della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Chiunque condivide queste idee e questi timori può e deve scrivergli, in modo da fargli percepire come questi sentimenti di umiliazione, indomita, unita alla consapevolezza del vulnus nei diritti costituzionali che si ta compiande siano diffusi.
Potete farlo QUI.
Se credete pote anche copiare o riadattare la mia lettera che riporto di seguito. Faccio presente che il sito impone un limite inderogabile di 5000 caratteri. Proprio per questo motivo ho dovuto tagliare riaggiustare una precedente lettera decisamente più lunga, ma credo che il senso complessivo delle mie richieste e del mio pensiero ne esca sufficientemente forte.

Egregio Presidente,
Sono un cittadino italiano, gay, sconcertato e umiliato
dalla decisione di vietare l’arrivo del RomaPride 2008 in Piazza di Porta San
Giovanni, per presunti problemi di sicurezza legati alla contemporaneità
dell’arrivo della manifestazione con l’inizio di un concerto all’interno della
Basilica di San Giovanni.
È un fatto molto grave, che a mio parere mette a
rischio la stessa tenuta democratica del Paese e costituisce un ulteriore passo
dell’Italia verso un clima di oppressione. Un concerto mette in dubbio la
libertà costituzionale di manifestare? Il Comitato di Sicurezza, la polizia, il
Governo possono attraverso opinabili valutazioni tecniche di sicurezza
ostacolare e impedire di fatto queste libertà civili? Non credo sia mai accaduto
in Italia che per un evento culturale, in uno spazio non pubblico e quindi non
sottoposto neanche a obbligo di dare comunicazione, si limiti così pesantemente
una libera manifestazione. Un precedente pericoloso (basterà organizzare
concerti all’interno di edifici per impedire una manifestazione all’esterno?)
che colpisce una comunità, quella GLBT, già vittima (e non certo causa) di
insicurezza, discriminazioni, aggressioni, violenze verbali e fisiche.
Questo fatto va a mettere Roma nel novero delle città omofobe e razziste,
come Mosca, Varsavia e i regimi repressivi del Mondo, dove i Pride sono impediti
o ostacolati dalla forza pubblica, e incrinerà ulteriormente l’immagine
internazionale del Paese.
Come cittadino, omosessuale, mi sento già
cittadino di seconda classe su molte questioni che in Italia rimangono ancora
irrisolte. Oggi mi sento anche non rappresentato dalle nostre istituzioni
democratiche e colpito profondamente nella mia dignità e anche nella sicurezza
proprio da quelle istituzioni come la Polizia, la Questura, il Governo, che
invece dovrebbero difenderle e tutelarle. Sono forse queste ostili a una parte
dei cittadini italiani? Ci sono state pressioni omofobe da parte di forze
politiche o straniere (vaticane). Del resto quando le decisioni appaiono
vessatorie e immotivate i sospetti si insinuano ed è difficile frenarli.
Temo che questo senso di mancanza di rappresentanza, di estraneità e
ostilità delle istituzioni si stia diffondendo in una comunità di cittadine e
cittadini sempre più ampia. Ancor più grave quando non si può aver fiducia nelle
istituzioni, che mascherano decisioni politiche ostili ed oppressive dietro veli
di esigenze tecniche, mal motivate. Decisioni che, lungi dal impedire problemi
di ordine pubblico e di sicurezza, li creano, li inventano, li generano,
esasperando una minoranza vessata, immaginando contrapposizioni, originando
frustrazione, rabbia, umiliazione. Una vera follia, politicamente,
giuridicamente e tecnicamente, voler creare tensione su una manifestazione, il
Pride, sempre pacifica e gestibile per le forze dell’ordine.
L’Italia
rischia di scivolare nell’inciviltà, nel non rispetto dei diversi e delle
diversità, nella violenza politica e civile, nell’oppressione, nella limitazione
delle libertà fondamentali. Rischio aggravato dall’incredibile afasia
dell’opposizione politica su provvedimenti che fino a qualche mese fa erano
addirittura inimmaginabili. Mentre persino le reazioni civili a questo clima
paiono deboli, isolate o assenti.
Io Le scrivo in quanto Lei è
rappresentante di tutti gli italiani, anche di quelli discriminati come noi, e
come garante dei diritti costituzionali, compreso quello di manifestazione oggi
sotto attacco. Le chiedo di prendere urgentemente posizione sulla questione e di
chiedere alle autorità competenti di riconsiderare questa scelta “sconsiderata”.
Pur a fronte di una disattenzione dei media e dell’opinione pubblica credo
sia Suo dovere ergersi a difesa di quei diritti che sono la base della
democrazia e della convivenza pacifica. Questo è quello che molti si aspettano
dal Presidente della Repubblica. Un’omissione, soprattutto se i pericoli che
pavento non dovessero rivelarsi timori eccessivi, costituirebbe una ferita nel
Suo ruolo e dei Suoi precisi doveri e neanche Ella potrà dire “io non sapevo”.
Mi rendo conto della rabbia e del risentimento che traspira dalle mie righe,
come anche della forza dei timori che esprimo, e non posso negarLe che a
spingermi a scrivere sono proprio questi sentimenti, uniti al forte rispetto per
Lei e l’importante e alto ruolo che ricopre. Sono profondamente convinto,
infatti, che i cittadini devono vivere con vicinanza le istituzioni, motivando
anche i malesseri profondi. Proprio per questo mi rivolgo a Lei come ad un
Padre, sperando che sappia comprendere che, anche laddove le mie affermazioni
possano sembrare eccessive, a ragione della passione che metto nelle cose che
faccio e in cui credo, queste si ammantano ancora di una grande speranza e di
una fiducia nelle capacità del nostro popolo e di chi lo rappresenta al massimo
livello di reagire e di ritrovare un senso profondo di comunità, unità e
speranza nel futuro.
Cordiali Saluti,
Andrea Maccarrone.

lunedì 7 aprile 2008

Nadine Gordimer da Fazio

Nadime Gordimer, premio Nobel per la letteratura e in prima linea per anni nella lotta all'apartheid nel suo Sudafrica è stata ieri ospite di Che Tempo che fà di Fabio Fazio.
Davvero soprendendete la lucida determinazione e la forza del pensiero che trapare da ogni sua parola e dal suo sguardo fiero: la soddisfazione per aver dato il suo contributo, pur modesto a spazzare via dal suo Paese l'onta e l'orrore di un regime di segregazione razziale, il riconoscimento a chi per quella lotta ha messo in gioco la vita, la libertà gli affetti con la consepovelezza che non si ammetteva la sconfitta.
Come chiara appare la consapevolezza delle grandi differenze e degli ostacoli che la giovane democrazia (solo 14 anni) deve colmare, soprattutto in termni di diseguaglianze sociali ed economiche tra bianchi e neri.
Ma la Gordimer può vantare dalla sua parte "La costituzione più avanzata del mondo che riconosce la piena uguaglianza di tutti i cittadini non solo riguardo la razza ma ancheal genre. Da noi i cittadini siano essi eterosessuali, omosessuali, lesbiche sono uguali per la legge". Queste le parole di una signora ottantacinquenne che ha fatto della lotta al razzismo e alle discriminazioni la principale ragione della sua vita, del suo impegno civile, sociale, politico e artistico. Dovremmo anche noi inchinarci e apprendere da una così salda coerenza di principi che ha portato il popolo sudafricano all'avanguardia, dopo aver sofferto per troppo tempo la legge dell'odio e del sopruso.
Coerentemente con quanto dice, infatti, anche il matrimonio omosessuale è ormai da diversi anni riconosciuto in Sudafrica, unico paese africano e tra i pochi nel mondo.

Possiamo dire la stessa cosa dell'applicazione della nostra Costituzione in Italia? Laddove esponenti di quasi tutti gli schieramenti politici citano a sproposito la costituzione, all'articolo 29, proprio per negare quei riconscimenti che garantirebbero una vera e piena eguaglianza dei diritti anche per i cittadini omosessuali e un riconoscimento pieno dei loro legami affettivi?

venerdì 15 febbraio 2008

Contro Casini ad Anno Zero

Ieri ho avuto la possibilità di partecipare ad AnnoZero (dal link si può vedere integralmente la puntata... andando anche direttamente al finale di cui parliamo a 2h 04' 12"), la trasmissione di Michele Santoro su RaiDue, per dire alcune cose sui diritti civili in contrapposizione con Pierferdinando Casini, come noto leader dell’UDC ed ex Presidente della Camera.
L’intervento, purtroppo è stato slittato in fine di trasmissione, quando non è stato più possibile sviluppare un vero dibattito e un confronto più approfondito sulle questioni sollevate. Il lancio da Beatrice Borromeo mi è stato dato sulla questione delle radici cristiane e sulla laicità, chiedendomi di parlare dei Dico abbandonati nell’ormai finita legislatura. Ho avuto modo di chiarire, mi auguro, che a noi i Dico non piacevano e continuano a non piacere e che vogliamo perfetta uguaglianza e quindi matrimonio civile, per dare a tutti la possibilità di scegliere e di decidere della propria ita e del proprio futuro, ho avuto modo di dire che l’articolo 29 della costituzione non parla di uomo e donna, come molti politici ci vogliono far credere, ma di famiglia e di coniugi e ho anche accennato al fatto che le differenze tra Veltroni e Berlusconi sulle questioni in argomento sono talmente sfumate da risultare impercettibili.
Molte cose però non c’è stato tempo e modo di dirle con altrettanta nettezza, per via dei tempi televisivi e del tipo di discorsi avviati. Alcune di queste si ricollegano a quanto Casini aveva appena detto parlando di laicità e radici Cristiane dell’Europa e dell’Italia. Non sono partito da qui per evitare di impelagarmi su una controversia filosofica che avrebbe annoiato e allontanato più che avvicinare alle questioni concrete delle persone. Ma con calma qui qualcosa va pur detta.
1) Che la laicità nel nostro paese sia così scontata da non meritare di parlarne, come ha lisciamente sostenuto Casini suona alle mie orecchie così paradossale da farmi quasi ridere: è laico un paese in cui le gerarchie vaticane intervengono quotidianamente ( ascoltatissime da media e classe politica in generale) sulle questioni legislative, politiche e pesino sugli equilibri partitici del nostro Paese? Una Chiesa che, come dimostrano le recenti inchieste di Repubblica incassa dallo Stato ogni anno oltre 5 miliardi di euro in varie forme? È laico un paese in cui l’istruzione della religione cattolica nelle scuole pubbliche è la “prima offerta” (ad essere buoni) proposta agli studenti sin dalle medie e i relativi professori sono selezionati su placet dei vescovi? Un paese in cui sempre a scuola e in tutti gli uffici pubblici, dai tribunali alle aule parlamentari vedono crocifissi affissi alle pareti? In cui la Cei fa campagna elettorale per i referendum senza che nessuno si scandalizzi? Un paese in cui all'inaugurazione dell'anno giudiziario il Presidente della Repubblica non siede accanto al Ministro della Giustizia ma a un Cardinale? In cui L’Avvenire, senza conoscere i contenuti delle proposte attacca dei progetti studiati contro il bullismo solo perché li fa un’associazione omosessuale (chiaramente nelle scuole ci possono stare solo loro)? In cui per finanziare le scuole private, molte cattoliche, si considera la norma costituzionale come carta da water? Bho… a Casini l’ardua sentenza
2) Sulla questione delle radici italiane ed europee, la cosa mi sembra ancor più di lana caprina e temo che dietro a questa ossessione ci siano in ballo interessi non confessati e la voglia di rendere inattaccabili certe posizioni e certi provilegi.
Se il problema fosse una questione di identità quale motivo ci sarebbe di scriverlo su una carta costituzionale rigida? Le identità dei popoli sono in continua, pur lenta evoluzione, frutto di moltissimi incroci. La cultura giudaico-cristiana può essere un elemento, ma cosa dire della cultura giuridica romana e della forza unificante che ebbe l’impero romano appunto nel mondo occidentale e mediterraneo? Della filosofia e dei principi democratici greci? Dell’importanza della cultura araba-musulmana, della sua matematica del suo ruolo di costruzione dell’identità europea (senza contare che arabi e turchi musulmani sono stati per secoli in Spagna, Sicilia e Penisola Balcanica fin quasi alle porte di Vienna e Budpest), che dire del fiorire del Rinascimento, dell’importanza dell’Illuminismo nella cultura civile e politica europea (tolleranza, divisione dei poteri, sovranità popolare)? Ma tutte queste “radici”, e altre ancora, vanno nominate esplicitamente su una costituzione? O forse possono tradursi in principi che la informano (divisione dei poteri, democrazia, diritti umani e civili, uguaglianza di fronte alla legge, libertà religiosa…?


Ma quel che seriamente è mancato alla fine è stata una vera e compiuta possibilità di replica alla risposta di Casini, che ha giustamente iniziato il discorso dicendosi in disaccordo con me (e non ci aspettavamo altro).
Intanto apprendo che dopo la mia pedissequa lettura dell’articolo 29 della costituzione non ha sortito effetto sul muro di gomma Casini che se l’è fatta scivolare addosso come niente fosse continuando a credere che ci sia scritto uomo e donna e che quel dettato costituzionale vada rispettato (questa aderenza alla costituzione non è necessaria sul finanziamento alle scuole private evidentemente). Una tale mistificazioen sul testo costituzioanel da parte di un ex Presidente della Camera è davvero insopportabile, un attegiamento da 1984 di Orwell in cui a furia di ripetere una falsità la si fa passar per vera!
In secondo luogo Casini si dice d’accordo a sostenere la tutela personale delle persone, e a concedere diritti individuali a chi fa parte delle coppie (come i dico del PD?), ma va rilevato che queste accorate parole non si sono mai tradotte in fatti parlamentari concreti essendo stata l’opposizione dell’UDC a qualsiasi riconoscimento dei diritti e persino all’approvazione di una legge antiomofobia nettissima anche nell’ultima legislatura (anzi dal suo partito si sono levati cori greci di complimenti alla Binetti che sul tema stava facendo cadere il Governo Prodi). E del resto, come gli ho fatto notare, una cosa è la solidarietà a parole altra e dare conseguenze politiche a quel che si dice. L’UDC è in giunte che sostengono campioni di omofobia come Prosperini e Gentilini, ma anche nel suo partito non mancano i Volontè, i Buttiglione…


Non soddisfatto Casini attacca con l’usurata solfa delle adozioni, perché quando non c’è molta carne da mettere al fuoco si comincia a buttare negli occhi il fumo dei “poveri bambini che non possono scegliere”. Il rispettoso Casini definisce la possibilità che due omosessuali possano adottare come avviene in altri paesi europei, ”un aberrazione”. Ma come? E il rispetto?
Una cosa sarebbe stata, infatti dirsi in disaccordo, magari motivando in qualche modo la cosa, altro definire aberrante sia la legislazione di Paesi nostri partner e che tutti consideriamo assolutamente civili e soprattutto la scelta d’amore di una coppia e di una famiglia. Potrebbe essere una cosa sbagliata? Io non lo credo, e ci sono numerosi studi e ricerche a mio sostegno, ma sicuramente quei genitori non sono due mostri da definire aberranti (il messaggio omofobo che passa,. subdolamente è ancora una volta quello) … E se qualcuno definisse aberrante per ragioni morali la sua scelta di divorziare e risposarsi, la riterrebbe una legittima posizione etica o lo considererebbe perlomeno offensivo del suo percorso umano il cattolico Casini? E io che per eccesso di "rispetto" mi sono persino astenuto dal far notare l’incoerenza che passa tra un politico che si dice portatore di certi valori cattolici in forma integrale e che li vuole anche imporre al complesso della società e poi invece fa altre scelte sul suo privato. Evidentemente noi non meritiamo ugual rispetto da parte sua. Purtroppo la paura di deviare il discorso in una cagnara senza avere il tempo di argomentare seriamente mi hanno costretto a non affrontarlo a muso duro su questo tema che suscita spesso reazioni emozionali più che razionali. Infatti è chiaro il suo utilizzo in forma assolutamente strumentale a non toccarre davvero il cuore del problema mirando a suscitare piuttosto irrazionali paure (e questo però ho provato a dirlo).


Ancora, Casini riafferma la sua visione della famiglia come formata da un uomo e una donna (e del resto se lo disse persino D'Alema qualche mese fa cosa possiamo aspettarci?). Legittimo, rispettabile, infatti ha agito di conseguenza e nessuno lo contesta.

Ma perché vuole imporre la sua visione a tutti? Perché mentre lui può scegliere come regolare la sua vita io non posso farlo e devo rassegnarmi a far scegliere lui e quelli come lui (quasi tutti i politici, genuflessi, italiani) al posto mio e nostro?

Da qui credo che passi lo Stato Etico! Nel momento io con la mia scelta non danneggio né ostacolo la sua e quella di altri perché uno Stato che vuole definirsi laico, liberale, democratico, deve arrogarsi il diritto di entrare nelle mie scelte privatissime e nella mia organizzazione familiare anziché limitarsi a prenderne atto e a garantirle e tutelarle in regime di uguaglianza e parità con chi fa altre scelte? A questo non è dato avere risposta per ora, perché né Casini né altri argomentano veramente, limitandosi a fornirci dei veri e propri postulati di fede.

Amen