venerdì 31 ottobre 2008

Binetti Vergogna: "Omosessuali sono pedofili"

BINETTI VERGOGNA

Gravissime le dichiarazione dell’Onorevole Paola Binetti che, chiamata a commentare le linee guida per le ammissioni al sacerdozio, accosta esplicitamente l’omosessualità alla pedofilia. La deputata democratica afferma che «queste tendenze omosessuali fortemente radicate presuppongono la presenza di un istinto che può risultare incontrollabile. Ecco: da qui scaturisce il rischio pedofilia. Siamo davanti ad un'emergenza educativa ».
Parole gravissime che, se forse rivelano i retropensieri delle gerarchie cattoliche, non trovano nessun riscontro nella realtà e nella letteratura scientifica, ma sono anzi atte a ingenerare allarme e fomentare odio e discriminazione nei confronti delle persone omosessuali, la cui vita affettiva e sessuale non si esercita certo in istinti brutali e incontrollabili verso nessuno, tanto meno i bambini.
Si ritorna ai timori di Fini sui maestri omosessuali che credevamo archiviate e relegate alla preistoria della politica. Ulteriormente incomprensibile e inaccettabile risulta poi il parallelo tra lo stop ai preti omosessuali e la necessità di “avere sacerdoti sani, sportivi, vissuti come modelli potenziali”. Come se gli omosessuali non fossero sani o non possano essere sportivi o dei modelli positivi, esattamente come ogni altro cittadino di qualsiasi genere e orientamento sessuale.
Prima di dire certe cose prive di fondamento e senso l’onorevole Binetti farebbe bene a esercitarsi in pratiche di cui è certamente più avvezza mettendo ad esempio il cilicio in bocca... Chissà che non ne trovi giovamento!
Sono espressioni vergognose e indegne, violentemente offensive per tutte le persone e i cittadini omosessuali, molti dei quali con il loro voto al PD hanno contribuito alla sua elezione.
Vogliamo sperare che chi è portatore di una tale gretta visione della società, esprimendo odio e discriminazione feroce nei confronti degli omosessuali, non possa trovare più posto nel Partito Democratico. Il segretario Veltroni deve prendere atto di una incompatibilità di queste dichiarazioni con la linea del suo Partito (e ci auguriamo di tutto il panorama politico italiano) espellendo l’onorevole Binetti.
Il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli esprime il massimo sdegno per queste dichiarazioni e invita tutte e tutti a esprimere formale protesta e contestazione all’onorevole Binetti e al Paritito Democratico perché prenda i necessari provvedimenti.
Chiamiamo, faxiamo e scriviamo al Partito Democratico un unico messaggio: “BINETTI VERGOGNA!”.
I numeri: tel. 06/ 675471 - fax 06/ 67547319 - mail info@partitodemocratico.it.
Scriviamo anche a Paola Binetti binetti_p@camera.it, al segretario Walter Veltroni veltroni_w@camera.it, e al capogruppo del PD alla Camera Antonello Soro soro_a@camera.it.

Consapevoli che l'omofobia non si combatte con le pacche sulle spalle, e le vaghe dichiarazioni, ma agendo seriamente a livello educativo, ci proponiamo appunto di educare debitamente queste persone, scrivendo loro il nostro sdegno e costringendoli a smistare il maggior numero di fax e mail con lettere che esplicitino la loro ignoranza e il male che fanno a tanti cittadini. Speriamo in questo modo di far comprendere alla Binetti (ma abbiamo dubbi che intenda) e ai responsabili del PD e quanto in Italia i cittadini civili siano in numero maggiore rispetto a quanto credano. Anche in Italia, come già nella maggior parte dei paesi europei non deve essere più ammissibile, per figure con compiti istituzionali e ruoli di rappresentanza pubblica, compiere esternazioni di questo tenore senza alcuna conseguenza per la propria carriera politica.
Il Circolo Mario Mieli propone anche, come già fatto in altre occasioni con successo, di querelare la deputata Paola Binetti, seguendo le istruzioni riportate sul nostro sito internet http://www.mariomieli.org/.

Rossana Praitano - Presidente
Andrea Maccarrone
Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli

Preti omosessuali, altro che teologia: discriminazione pura

(Articolo uscito oggi su Liberazione)

Messaggio che serve solo a rinforzare lo stigma
Preti omosessuali, altro che teologia:discriminazione pura

Andrea Maccarrone*
La ripetitività con cui dagli uffici vaticani partono documenti e dichiarazioni riguardanti sessualità e omosessualità finisce per diventare perlomeno sospetta, oltre che fastidiosa. Come dire, la lingua batte dove il dente duole.
In un momento in cui i temi riguardanti il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali sembrano finiti su un binario morto e le gerarchie cattoliche appaiono, quindi, smarrite per la perdita degli enormi spazi di visibilità che ne guadagnava, eccoli reintrodurre dalla finestra il caso appena uscito dalla porta. Anche se manca la novità le agenzie e i tg non si fanno pregare e ci rilanciano la riconferma di una posizione già nota: coloro che manifestano «tendenze omosessuali fortemente radicate» o un'identità sessuale «incerta» non possono entrare in seminario e diventare preti.
E dire che un tempo, soprattutto in un paese come l'Italia, la tonaca era un noto rifugio sociale per tantissimi omosessuali che, non volendo proprio vivere nell'ipocrisia di un matrimonio imposto, preferivano prendere i voti, dando davvero tantissimo a una chiesa che in generale non ha mai cessato di discriminare.
Oggi risulta poco chiara la ragione di questa perseverante politica discriminatoria e di esclusione nei confronti dei tanti omosessuali che, nonostante tutto, continuano a ritenersi cattolici. Tanto più alla luce della nota crisi delle vocazioni e considerando che, teoricamente, i sacerdoti, eterosessuali o meno che siano, dovrebbero essere chiamati all'astinenza.
A volere applicare questa norma ai sacerdoti già in servizio ci sarebbe da stilare una lista lunga - e scandalosa - di vescovi e cardinali, anche noti, che forse non avrebbero piacere si sapesse e che, non so con quale coerenza e credibilità possano applicare queste regole che per loro non sono valse.
Non possiamo nascondere il forte impatto culturale, sociale e politico che la religione e le autorità religiose hanno, e questa è proprio la ragione per cui se ne parla. Anche se parlandone ne accresciamo il ruolo. Allo stesso modo di come noi critichiamo energicamente l'ingerenza vaticana nelle scelte politiche e legislative italiane, potremmo essere, in questo caso, accusati di impicciarci delle legittime scelte e regole di reclutamento del personale religioso. Ma il punto è qui volersi opporre fermamente a qualsiasi politica discriminatoria nei confronti degli omosessuali e l'assimilazione surrettizia a concetti d'immoralità, inadeguatezza a ricoprire qualsivoglia incarico o funzione, e alla patologia mentale. Questi messaggi vengono interpretati chiaramente come uno stigma inaccettabile (anche quando largamente disatteso) e configurano fattispecie concrete di discriminazione nell'accesso alla "professione" di sacerdote. Del resto ricordiamo che la chiesa cattolica è rimasta sempre più isolata, anche tra le altre chiese cristiane, nella negazione del sacerdozio femminile. Entrambe sono quindi chiare scelte politiche, senza fondamento teologico e, per questo, ancor più odiose.
*Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli

giovedì 30 ottobre 2008

Le spranghe sugli studenti

Ciò che è accaduto ieri a Roma, a piazza Navona è una cosa incredibile (eppure fin troppo prevedibile).
Ancora una volta un gruppo militarmente organizzato, munito di caschi e spranghe e di camionetta è riuscito passando indisturbato tutti i cordoni di polizia ad arrivare nella piazza della pacifica protesta studentesca contro la riforma Gelmini attaccando a freddo i manifestanti.
Secondo quanto riportato da questo documentato editoriale di Curzio Malatese su Repubblica e da quanto è stato possibile vedere da diverse immagini diffuse dell'evento, la polizia avrebbe tenuto un atteggiamento quasi connivente con gli aggressori. Un occhio di riguardo a senso unico per questi gruppi fascisti che ormai in città sentono di essere liberi di fare il bello e il cattivo tempo impunemente e che, in questo caso ha trovato vittime dei ragazzini di 14-16 anni!
Se leggendo l'articolo e guardando le immagini si resta basiti e interdetti per come questo possa essere accaduto nel centro di Roma, con ingenti forze di polizia già schierate per proteggere il Senato, su come sia possibile che poliziotti pronuncino frasi siffatte e tengano un atteggiamento così cinicamente orientato, disumanamente cinico, si aggiunge l'assoluto disgusto per come certi media hanno riportato l'episodio gravissimo. Per esempio al TG1 parlavano di "scontro tra fazioni opposte di studenti".
Ma erano studenti manifestanti quelli arrivati con mazze, spranghe, caschi e catene in Piazza Navona? Si trovavano per caso a passare di lì armati di tutto punto?

Ulteriore commento lo voglio fare a proposito delle incommentabili dichiarazioni di Francesco Cossiga sul suo operato da Ministro dell'Interno e sull'invito ad agire similmente all'attuale Ministro Maroni.
Quello che il dis-emerito presidente della Repubblica candidamente ammette sono stati reati ma non solo, anche pesanti responsabilità politiche per la creazione di un clima di violenza e di repressione che, a questo punto possiamo dirlo con certezza, ha sicuramente alimentato e contribuito a creare gli Anni di Piombo in Italia. Che lo si possa rivendicare con tanta vanità rappresenta un capovoolgimento dei valori civili che non ha precedenti. Non solo, invitando Maroni a imitarlo, Cosssiga fa anche istigazione a delinquere. Dichiarazioni che vanno ben oltre la libertà di espressione, persino rafforzata di un parlamentare quale purtroppo egli ancora è. Mi auguro che qualche Procuratore si svegli e lo metta sotto accusa... Anche se ormai vivendo in Italia siamo costretti a credere sempre meno nelle nostre istituzioni democratiche.

Quello che si vede in questi giorni è un Governo arrogante e spocchioso che approva in tutta fretta importanti riforme per decreto senza accettare alcun tipo di confronto. Che chiama facinorosi e stupidi strumentalizzati gli studenti, i professori e le famiglie che protestano, e che lascia agire indisturbati squadracce fasciste nel centro di Roma. Vediamo una polizia, probabilmente imbeccata da ragioni e pregiudizi politici, che appare incapace di gestire le proteste e di difendere i cittadini dalla violenza di questi gruppi paramilitari armati. Un Presidente della Repubblica ingabbiato e inefficace nel porre un argine finanche all'eccesso di decretazione d'urgenza (come pure potrebbe teoricamente fare, perché non si capisce quale fosse l'urgenza di passare al maestro unico nel 2009, quindi a ben vedere una riforma siffatta è secondo me passibile anche di censura costituzionale). Un sistema dell'informazione, e anche questo non è una novità, in buon parte fazioso, appiattito, debole e incapace di rappresentare la realtà in modo credibile e onesto.

In questo quadro, la protesta sempre più ampia e meditata degli studenti è forse l'unico dato positivo. I ragazzi delle scuole e delle università sono il primo gruppo sociale che è stato capace di risvegliarsi dall'oppio berlusconiano, mobilitandosi efficacemente. I primi, e finora gli unici, in grado di dare dei grattacapi a un Governo che aveva navigato fino ad ora in assoluta mancanza di opposizione parlamentare, politica e sociale, e in spregio di ogni posizione difforme.
Mi auguro che la violenza e la paura non li spaventino o non riportino indietro l'orologio della nostra storia facendo degenerare una mobilitazione pacifica in un clima di scontro e tensione di cui l'unico vincitore sarebbe l'attuale struttura di potere e gli sconfitti non solo gli studneti ma anche il Paese nel complesso.

Suggerimenti di lettura. Stratex: Quale verità su Piazza Navona?; Cheremone (professore di liceo presente ai fatti) la fine delle cose; Elfo Bruno: 29 ottobre 2008, Italia: prove tecniche di fascismo; Anelli di Fumo: Squadracce; Scontri di P.Navona - il video di Casa Pound; .

lunedì 27 ottobre 2008

I vote Paris Hilton

Dopo il primo video Presidenziale, in cui Paris Hilton rispondeva per le rime a John McCain, l'eccentrica ereditiera fa il bis con un videoclip "elettorale" che la propone come nuova "Commander in Bikini", visone della politica certamente meno militarista del classico "Commander in Chief".
Paris for President, mette in rima le "sue ricette per l'America". Tra le altre "You can get married if you are straight or if you are gay" (puoi sposarti sia che tu sia etero sia che tu sia gay) detto così, semplice semplice con la naturalezza di un'ovvietà che blasonati politici e governanti di tutto il mondo stentano a comprendere. Complimeti, fosse possibile la prenderemmo volentieri anche al posto di Berlusconi o Veltroni, anche, se temo, trasferirebbe la sede del governo alla fashion week milanese...

Abile azione di marketing, autoironia, egocentrismo, superego, divertimento?
Qualunque sia il movente sembra che da oggi gay ed etero possano trovarte una "convergenza" (per diversi motivi ovvimanente...) sulla Hilton!

I vote for Paris!

Altra frase cult? "America should put me in charge, look at Bush cannot be so hard!" (L'America dovrebbe dovrebbe eleggermi, guardate Bush non può essere poi così difficile).
A pensarci bene è proprio vero che anche un cactus o una zucchina sarebbero meglio di Bush, se non altro la Hilton è più piacente (e anche lì non è poi un grande sforzo, nonostante le dichiarazioni d'amore del nostro Presidente del Consiglio Berlusconi)!

venerdì 10 ottobre 2008

L'Omofobia non passa mai di moda

L'Omofobia non passa mai di moda (articolo pubblicato su Aut di ottobre)

Al rientro dalle vacanze la speranza è sempre quella di poter registrare e segnalare qualche positiva novità o almeno qualche luce di speranza che addolcisca il rientro al lavoro dai mari e dai monti.
In effetti qualcosa di buono di cui parlare lo avremmo anche avuto: proprio a inizio settembre, durante la conferenza EPOA di Zurigo, Roma ha ottenuto di poter organizzare l’EuroPride 2011. Un successo che riporterà un grande evento internazionale nella capitale dopo ben 11 anni dal World Pride del 2000 e che ci riempie di gioia, speranza e anche responsabilità. Di questo, e delle prospettive di impegno che si aprono adesso avremmo voluto parlare più a lungo in questo numero di Aut.
Poi, però, al rientro in Italia, dall’emozione di Zurigo, abbiamo dovuto fare i conti con la cappa opprimente del nostro Paese e ci siamo da subito confrontati con i nuovi episodi di violenza omofoba che attraversano lo stivale da Nord a Sud. Ci è parso che la gioia per un successo, pur così significativo, dovesse lasciare posto a una riflessione più amara ma assolutamente necessaria.
Le aggressioni, le uccisioni, le violenze di trans a Genova, Milano, Bologna, Bari, dopo quelle da noi denunciate la scorsa primavera qui a Roma, sono ormai quasi routine quotidiana che rischia di passare pressoché inosservata e di lasciarci indifferenti. Invece voglio iniziare proprio da loro, dalla famosa T della sigla GLBT, che troppo spesso tendiamo a trascurare colpevolmente. Le trans, soprattutto se straniere, sono infatti un anello particolarmente debole della nostra comunità, necessariamente visibili, spesso con problemi di documenti che non corrispondono alla loro identità sociale, con difficoltà inimmaginabili per chi non vive questa condizione in prima persona nel trovare lavoro, alloggio e una vita sociale che non sia la strada. Spesso sono vittime dei balordi e dei violenti, dei loro stessi “clienti” che si trasformano in violentatori, rapinatori o assassini, e anche della rabbia dei comitati di quartiere e delle stesse forze dell’ordine che vedono in loro solo un problema di decoro delle strade, di ordine pubblico e di immigrazione e si dimenticano che sono persone e non “animali”. Uno stato di cose già grave che la politica delle multe inaugurata da molti sindaci, come da Alemanno a Roma, e la criminalizzazione voluta dal Ministro Carfagna non potranno che aggravare, magari rendendo anche ricattabili le prostitute transessuali (e non).
Se le aggressioni, le violenze, gli insulti omofobi hanno avuto un preoccupante andamento crescente già negli ultimi anni, indubbiamente questi episodi sembrano essere ulteriormente aumentati negli ultimi mesi, con il ripetersi di attacchi ai danni di lesbiche e gay, siano essi soli o in coppia, in molte delle principali città italiane. A Napoli una ragazza lesbica è stata colpita in fronte da un bicchiere lanciatole assieme alla solita gragnola di insulti ignoranti, e poi anche sollecitata a non presentare denuncia dagli stessi esercenti della zona. Anche a Roma una ragazza che lavora al Coming Out è stata inseguita e picchiata, scritte inneggianti ai forni crematori sono comparse su via di San Giovanni in Laterano di fronte a una gelateria punto di riferimento per la comunità romana e una coppia di ragazzi che camminavano insieme mano nella mano sono stati insultati e pestati da un gruppo di dieci giovani in via dei Fori Imperiali. Negli scorsi mesi altre scritte, un figlio accoltellato dal padre perché gay, una figlia accoltellata dalla madre perché lesbica, l’assalto squadrista al Circolo Mario Mieli, ragazzi aggrediti alla stazione Termini o in via del Corso a Roma. Per non parlare dei fatti gravissimi che hanno investito le scuole italiane con ragazzini indotti al suicidio o pesantemente bullizzati per la sola colpa di non rientrare nei canoni macho standard o per il sol fatto di fare danza anziché calcio (Come in Billy Elliot).
A voler fare una lista completa quest’articolo di trasformerebbe in una sorta di bollettino di guerra.
Dico subito che non sono tra coloro che attribuisce la recrudescenza omofoba degli ultimi mesi a Roma e nel resto d’Italia ad Alemanno e/o al Governo Berlusconi. Il fenomeno è più radicato e sicuramente precedente le elezioni. Va quindi affrontato e analizzato anche da altri punti di vista, non solo e non strettamente politici. Semmai sono dell’idea che l’omofobia, così come la crescente violenza razzista, o un certo revival dell’integralismo cattolico, e la sessa vittoria della destra, siano tutti insieme i risultati di un clima sociale e culturale di paura e diffidenza, questo sì, spesso alimentato ad arte con la connivenza colpevole dei media, per interessi politico-elettorali, che poi sfugge di mano ai suoi stessi artefici come ad apprendisti stregoni.
Proprio per questo non concordo per nulla neanche con chi, come Imma Battaglia, si affretta a dire che l’aggressione dei ragazzi ai Fori Imperiali è un “episodio grave da perseguire ma occorre evitare allarmismi e strumentalizzazioni. Roma è città aperta ai gay”, mentre riguardo a un’altra vicenda che ha animato il dibattito estivo, sull’omissione da parte della maggior parte della stampa e della tv italiana della condizione familiare di Domenico Riso, scomparso nell’incidente aereo di Madrid assieme al compagno e al figlio, interviene con una lettera su Repubblica in cui afferma: “Non se ne può più di questo bisogno di urlare una condizione che è normale, non ha nulla di particolare e che, detto seriamente, non subisce alcuna vera discriminazione”. Battaglia assume, in pratica, la stessa linea della Carfagna quando, appena insediatasi ha criticato il Pride dicendo che non serviva anche perché non c’erano discriminazioni verso i gay.
La mia impressione è che nell’aumento dei casi di violenze omofobe ci siano due fattori causali convergenti. Da un lato negli scorsi anni le tematiche relative al riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali hanno acceso il dibattito pubblico e portato a un’esasperazione dei toni allarmistici da parte della Chiesa e di molti esponenti politici a destra ma anche nel Partito Democratico e talvolta persino a sinistra, che hanno additato la “lobby gay” o gli omosessuali, come causa di disgregazione dei valori familiari, dell’identità culturale italiana, come portatori di disvalori morali, etici, di mal costume, disordine, decadenza etc. Molte sono state le invettive dai toni violenti e pesantemente discriminatori come quelle di Prosperini che auspicava la tortura della “garrota” per i gay, o Gentilini che invocava la “pulizia etnica”. Ma anche un Casini che, proprio in contraddittorio con chi scrive, ad Anno Zero, parla addirittura di “aberrazione” con riferimento alla possibilità che due uomini possano adottare bambini. Ma ugualmente tutte quelle terminologie e quei riferimenti discriminatori su “legami deboli”, “amori fragili”, “comportamenti disordinati” o “immorali” etc. Tutte queste dichiarazioni in libertà hanno di fatto ingenerato allarme e alimentato odio e diffidenza e, infine, armato violenti e bulli vari sempre a caccia di capri espiatori.
A questo si è andata ad aggiungere, d’altro canto, una sempre maggiore visibilità, ricerca di spazi, di contaminazione e di inclusione soprattutto dei giovani gay e lesbiche, che sempre più di rado sentono la loro condizione con senso di colpa o vergogna e vogliono poter vivere con normalità e semplicità, esattamente come tutti i loro coetanei, cercando la propria felicità e una piena e soddisfacente viva affettiva, amicale e anche sessuale.
Con tutta evidenza questo li porta a sottovalutare i rischi quando escono dall’alveo relativamente protetto delle zone di ritrovo e dei locali e li porta ad essere facili bersagli dei violenti, che proprio in questa maggiore visibilità finiscono per leggere un - per loro - “preoccupante” aumento dell’omosessualità, e puntano a spaventare, terrorizzare e ricacciare nei sottoscala i gay e le lesbiche. In questa direzione va per altro il logoro confronto sulla presunta ostentazione dei Pride.
Allo stesso tempo il maggiore coraggio e la maggiore consapevolezza di giovani gay e lesbiche li spinge a non vergognarsi o nascondersi e a voler denunciare le violenza subite con frequenza crescente rispetto anche al recente passato.
Se il nostro obiettivo è contrastare l’omofobia crescente non possiamo quindi che analizzare il fenomeno nella sua complessità sociale e culturale per cercare di offrire una ventaglio di risposte mirate e ad ampio raggio che ne prosciughino il terreno di coltura, coinvolgendo diversi soggetti a vario titolo coinvolti.
La visibilità va sicuramente incentivata e incoraggiata, magari anche a livello di personaggi noti che decidano finalmente di fare coming out, perché è l’unico mezzo di cui disponiamo per rendere la nostra presenza familiare e accettata dalla società che non ci veda più come sporadici esemplari zoologici o fenomeni da baraccone da additare con sorpresa o deridere (quando non aggredire appunto). Sicuramente vanno incrementati, stimolati e ampliati il più possibile, anche fuori dai principali centri urbani, gli interventi educativi nelle scuole, come quello che come Circolo Mario Mieli portiamo avanti da diversi anni. E in questo le associazioni glbt hanno bisogno della collaborazione e del dialogo con gli insegnanti, le famiglie e con le istituzioni scolastiche e locali che dimostrino sensibilità e impegno.
Un altro fronte su cui dobbiamo impegnarci maggiormente è il monitoraggio della stampa e dei media: un’informazione corretta ed equilibrata, un linguaggio appropriato e non discriminatorio, un’attenzione non morbosa delle trasmissioni di approfondimento ma anche di altri mezzi di informazione meno formali ma più diffusi (telefilm, cartoon, riviste popolari, film, libri) può offrire un grande contributo culturale. È imprescindibile, in questo, cerare alleati e confronto proprio tra i giornalisti e le persone che fanno e producono cultura.
Importante è anche non percepire l’omofobia come una questione avulsa e distaccata dal resto della realtà politica e sociale del Paese. Quale vera differenza c’è tra l’aggressione o l’uccisione di un ragazzo di colore a Milano, l’assalto a un campo Rom nel napoletano, le violenze a un anziano a Roma, le proteste contro una nuova moschea o contro il Pride, il ragazzo accoltellato a Palermo dal padre perché gay, La Trans violentata a Genova o uccisa a Pescara, gli assalti nazisti ai concerti o alle manifestazioni di sinistra? Sono tutti segnali di diffidenza e paura di ciò che è percepito come diverso, estraneo, ignoto, che poi vengono strumentalizzate dalla politica per controllare meglio la società (e vincere le elezioni) e dai capetti dei violenti per creare spirito di gruppo e coesione a scapito di qualche malcapitata vittima, oppure da certi annoiati bulli per assaporare qualche cruenta emozione tra i fumi di alcol e droghe. Tutti sono espressione di una società malata che non sa guardare al futuro con speranza e coraggio.
Noi, nel nostro piccolo, assieme a chi ancora ha voglia di lottare per l’uguaglianza e i diritti, per la democrazia, per il dialogo, a chi non ha voglia di farsi anestetizzare dal delitto di Cogne di Vespa e dagli angelus di Ratzinger, o imbonire dai venditori di ciarpame politico a buon mercato, possiamo essere un buon antidoto a questa barbarie. Rimbocchiamoci le maniche!

mercoledì 8 ottobre 2008

Imma-tura, Imm-odesta Battaglia: puntata 2

A quanto già appena detto si viene ad aggiungere una vera e propria bulimia comunicativa di Imma Battaglia, che in una settimana ha rilasciato almeno tre interviste a tutto campo(Babilonia, Ergo Sum Magazine, Panorama) sui temi della nostra attualità e di strategia complessiva del movimento.
In queste interviste possiamo rileggere in altra forma la stessa storia di Merlo e del vittimismo gayo, ma troviamo qui anche notevoli novità e una serie di imprecisioni, falsità e mistificazioni da fare rabbrividire.
Per non dire del modello comunicativo tutto centrato sull’Io (EGO) e su alcuni scivoloni concettuali senza precedenti.
L’intervista a Bibilonia comincia da Vladimir, di cui Battaglia dice: “lui è una persona di spettacolo, se vogliamo anche volgare e popolare, non certo raffinata: il suo posto all’Isola è perfetto”. Tradotto: una persona volgare in un posto volgare… e questo per appoggiarla.
Subito dopo, però, sulla sua candidatura al Parlamento, giudicata “inappropriata perché non ha fatto l’operaio, non è stato in fabbrica, si è prostituito. Cosa c’entra con quell’ideologia”. Troppo volgare per il Parlamento? Forse la Battaglia non si è accorta che anche per Rifondazione Comunista è arrivato il 2000, forse non ha letto Gramsci e la sua idea di Partito come Moderno Principe, forse non sa che neppure Engels e Marx e Lenin erano operai (anzi il primo era addirittura imprenditore); che poi Imma si sia opposta alla candidatura per ragioni di purezza ideologica comunista fa ridere persino i polli.
E, infatti, alla domanda successiva sui movimenti omosessuali si affretta a chiarire che “bisogna smetterla di urlare” – pensate alle sue urla dal palco del Pride 2007? – “e mantenere posizioni antagoniste. Io sono anche per l’incoerenza quando questa mi aiuta al confronto. Sono completamene contraria alle ideologie”. Ma davvero? E quanto hai appena detto? A va be’ , ma ci ha anche messo in guardia sull’incoerenza, quindi possiamo salvare capre e cavoli!
Dalle sue parole vaticinanti apprendiamo poi che nel 2000 “il mondo e la società erano pronti; non lo è stato invece il nostro modo vittimista, pietistico, scheccante, implorante. Tutto questo ha sortito l’effetto negativo”. Interessante quando si fa un po’ di autocritica, anche perché del movimento degli ultimi 10-15 anni lei decisamente ne sa qualcosa, essendo passata senza soluzione di continuità dalla presidenza del Circolo Mario Mieli a quella del DiGayProject, associazione che ha fondato “attorno a sé”.
Che il movimento abbia fatto degli errori è, secondo me, evidente - altrimenti avremmo dei diritti come in quasi tutti i paesi europei - comprese le divisioni e i divismi di cui parla nella stessa intervista (ma che con la sua scelta di uscire da Mario Mieli fondando un’associazione molto centrate sulla sua persona ha senza dubbio contribuito pesantemente ad accentuare, almeno a Roma). Che però si usi l’aggettivo scheccante per stigmatizzare certi toni pietistici non lo digerisco proprio, perché assume il linguaggio discriminatorio della società per cui la colpa è essere “effeminato”, “checca”, etc.
Oltretutto, un'analisi seria dei limiti e degli errori del movimento andrebbe forse sviluppata in altri modi piuttosto che tramite un'intervista così generica, ma questo attiene alla sua libera valutazione.
Sorvoliamo la questione dei parlamentari e dei rappresentati glbt nelle istituzioni che andrebbe ripensata, e passiamo alle indicazioni che Imma concede magnanimamente ad Arcigay: non ci sono dubbi “Forzare a destra”; e perché? Semplice, perché a Roma, con Alemanno, ci è stato concesso di fare Pride e Village. Tutto come prima insomma (non che prima la situazione fosse d'idillio); contrariamente a chi si aspettava le camice nere e l’olio di ricino per le strade. E va bene accontentarsi, ma qual è il passaggio logico?
Parlando di nuove leadership del movimento la nostra Cassandra ci informa che “necessitiamo di persone più libere, fresche, giovani”. Una sorpresa, se consideriamo che lasciò il Circolo Mario Mieli per l’impossibilità statutaria di essere riconfermata ancora alla presidenza e ha, quindi, fondato un’associazione che la vede ininterrottamente a presidente dalla sua nascita ad oggi. Senza dubbio Imma Battaglia è una delle leader di movimento, che ricopre una massima carica istituzionale da più tempo con continuità. Più di Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay da solo un paio d’anni, di Franco Grillini e Sergio Lo Giudice, che lo hanno preceduto e mantengono solo una carica onorifica, di Dall’Orto che fa della sua penna e del suo acume la sua autorevolezza, di Rossana Praitano Presidente del Circolo Mario Mieli. Allora, immaginiamo, che, se non giovane e fresca, sicuramente si ritiene la più libera o, forse, queste indicazioni non valgono per sé stessa e per la sua associazione!
Ma quello che mi sembra un autentico delirio arriva quando si parla di Pride. In primo luogo la vediamo rispolverare la sua decantata laurea in matematica per avvisarci che i numeri dichiarati dagli organizzatori dei Pride di Bologna e Roma sono falsi, che per questa ragione falliamo la nostra visibilità di piazza e bisogna, quindi, “pensare seriamente come devono essere fatti i Gay Pride”. In che senso? La risposta secca è che il PrideNon può essere il Mario Mieli con quell’ideologia antagonista che ha e neppure Facciamo Breccia”. Naturalmente perché il Mieli abbia un’ideologia antagonista non ce lo spiega (questa dell’ideologia sembra un vero grimaldello logico buono per tutte le occasioni del Battaglia pensiero), è lei a garantircelo.
Anche se poi una cosa la vorrei proprio chiedere a Imma: perché se il Pride dell’anno scorso era così ideologico e antagonista da spingerti a non aderire e a non manifestare, ti sei ugualmente presentata in Piazza della Repubblica a farti intervistare dai giornali e dalle TV per dire che il Pride era antagonista e non ti rappresentava e che c’era poca gente? Se non sei d’accordo va benissimo, ma a quel punto stai coerentemente a casuccia e non rompere le uova nel paniere a chi crede in quella cosa e si impegna per la sua riuscita, no? E poi la visione unitaria implicherebbe la ricerca in modo costruttivo di una piattaforme comune, accettando anche che le proprie posizioni non vengano accolte dalla maggioranza. Se ogni volta che le nostre posizioni non vengono accolte (e capita spesso all'interno di un movimento plurale) sbattiamo la porta, addio unità e addio dialogo. A meno per movimento unito non pretendi che ci si riduca AD UNUM cioè a te, IMMA BATTAGLIA.
Comunque sia, ecco il nuovo passaggio del ragionamento. Siccome il Pride va ripensatoIo ho deciso, con Di’Gay Project, di provare un percorso diverso. La prima iniziativa che lanciamo da queste pagine è questa sorta di atto che chiameremo “Atto d’Amore”. Il nostro avvocato ha preparato un contratto che renderemo disponibile gratuitamente online. Le persone potranno accedere a questo contratto che contempla anche regole. Sarà accompagnato da una serie di azioni, compreso il testamento, in maniera assolutamente certo così da tutelare le persone anche in caso di controversie legali”.
Se fossi Di Pietro direi “che c’azzecca?” parlavamo di Pride no? Che vuoi dire? “Stiamoci a casa facciamoci i nostri bei contrattini privati diligentemente preparati dai legali di DGP e pensiamo alle nostre faccende private, alla nostra eredità a stabilire cosa si potrà dire di noi quando saremo morti?” Ecco l’uovo di Colombo! E noi che pensavamo di voler lottare per dei diritti, poveri stupidi ci ha pensato Mamma Natale Imma coi suoi “Atti D’Amore”, e vissero tutti felici e contenti!
Credete di avere toccato il fondo? Non ancora, abbiate pazienza! Appassionatosi a queste iniziative, l’intervistatore di Babilonia, Mario Cirrito, chiede se il DGP abbia progetti contro il bullismo e la discriminazione. “Sul bullismo abbiamo questa iniziativa che è la tesi di laurea Maria Baiocchi che sta diventando sempre più importante nelle università. Il testo che editiamo Homo Sapiens vorremmo renderlo sempre più fruibile ad un pubblico non necessariamente accademico”.
Benissimo, ho sempre ritenuto questa una splendida idea per stimolare la ricerca sulle tematiche relative all’omosessualità e premiare giovani ricercatori coraggiosi. Il dubbio, però, mi attanaglia. Sa Battaglia cosa sia il bullismo? Cosa c’entra un premio di tesi di laurea con i ragazzini picchiati e bullizzati alle medie e alle superiori o persino all’università? Che pignoli che siamo; poco importa, aveva voglia di dirci che fa questo e ce l’ha detto, un po’ come quando Berlusconi, rispondendo a Vespa sulla giustizia, dice che abbasserà le tasse e farà il ponte sullo Stretto.
Voglio terminare questo breve excursus sull’intervista a Babilonia riportando una domanda, e relativa risposta, di cui potrei anche infischiarmene, riguardano l’organizzazione sociale di DGP, e che invece voglio eleggere a test della credibilità di quanto sostenuto da Imma qui e altrove. Domanda: Quanta gente gira intorno alla tua associazione?
Oltre a coloro che si occupano dell’organizzazione una sessantina di persone che vanno e vengono. Noi non tesseriamo, essendo io contraria a tessere e partiti, figurati se ripropongo la stessa cosa in Di’Gay Project. Cerco di aggregare le persone attorno a dei progetti”. Bene e che posso avere da ridire in proposito? Nulla… Se fosse vero. Basta infatti seguire il link per arrivare alla pagina del sito di DGP in cui è proposto il tesseramento.
Imma, ma pensi davvero che abbiamo tutti l’anello al naso? Da laureata in matematica dovresti sapere che in tempi di comunicazione telematica è davvero troppo semplice verificare le informazioni. E che senso ha propinarci una bugia tanto banale e inutile?

Più rapida può essere la lettura dell’Intervista di Vlaeria Gandus a Imma Battaglia per Panorama. Questa più che un’intervista sembra una sorta di apologia. Quanto è brava, bella, laureata in matematica, donna in carriera di successo nell’impresa americana, profetica, aperta, lungimirante, sportiva, antidogmatica, promotrice del World Pride e del Gay Village, ricca, di successo, con una compagna bellissima attrice e un salotto coloratissimo. Leggiamo però tra le altre cose che “E sempre lei a presiedere il Circolo Mario Mieli, storico punto di riferimento del movimento omosessuale romano, dotandolo fra l’altro (prima di dimettersi per insanabili contrasti con l’establishment gay) di un’eccentrica appendice: la celebre discoteca Mucca assassina dove si esibiva un certo Vladimir Luxuria”. Quanta grazia!
Lasciamo perdere la storia dell’establishment gay, visto che andrebbe più prosaicamente tradotto in un contrasto nel direttivo dell'associazione (composto di 5 persone incluso il Presidente), che, dopo le sue dimissioni, si è concluso con un bagno di democrazia in cui l’assemblea dei soci, a maggioranza, stabilì che non poteva ricandidarsi a leader dell’associazione (lo statuto prevedeva la ineleggibilità per oltre due mandati consecutivi). Ma passiamo alla matematica: quest’anno Muccassassina ha appena inaugurato la sua 18esima stagione, ergo anche senza la prestigiosa laurea in matematica di Imma riusciamo a fare due conti e capire che lei non era Presidente nel 1990 quando la serata ha mosso i suoi primi fortunati passi. Del resto anche il World Pride è stato promosso e sostenuto dall’associazione nel suo complesso, quindi non solo da lei, ma dai volontari e soci e naturalmente finanziato in gran parte grazie alla festa di Muccassassina: appare quindi scorretto attribuirsi il merito in termini individualistici. Peccati veniali di superbia forse…
Sempre nell’articolo apprendiamo che “la parte più politicizzata del movimento” che adesso la ostacola nel suo trasversalismo acrobatico a destra (eppure io barricate non ne ho viste) è “la stessa che aveva espulso la Presidente di Arcilesbica Francesca Grossi per aver chiesto, insieme con altre associazioni, un incontro con il neosindaco Gianni Alemanno”. Da quando in qua qualcuno espelle la presidente di Arcilesbica (Roma) dal movimento? Piuttosto Imma avrebbe potuto e dovuto spiegare all’ingenua giornalista che il direttivo di Arcilesbica Roma ha espulso al sua Presidente per avere preso una decisione così importante al di fuori delle procedure democratiche della loro associazione. Capisco che a una Battaglia abituata a fare la Presidente padrone del suo Di’GayProject un concetto come procedure democratiche di assunzione di una decisione possa risultare indigesto e di difficile comprensione, ma non si può neanche mistificare parlando in modo generico di “parte più politicizzata del movimento” (simile "all'establishment gay" di prima). Anche perché, che il movimento gay faccia politica e intervenga sulla scena politica è naturale e sarebbe forse assurdo il contrario… e allora se si parla di movimento politicizzato gradiremmo capire in che senso! Nel senso che ha posizioni e idee politiche diverse dalle sue?
Sulla polemica Merlo di cui la giornalista le ricorda i contorni. Imma ribadisce che non esistono discriminazioni ma che DGP esiste per aiutare i giovani a crescere senza soffrire (e per cosa se non esiste discriminazione?)
Per fortuna che irrompe sulla scena la sua compagna “giovane e bellissima attrice” a chiarirci (e chiarirle) le idee, Imma dice: “Noi, per esempio, vorremmo regolarizzare la nostra posizione e la mia compagna non ne può più di essere costretta dal clima machista e maschilista imperante in tv a nascondere la sua omosessualità. Il primo è un problema legale, il secondo culturale, ma a tutti e due c’è un rimedio: basta smetterla di lamentarsi e agire”. Wow, ma non aveva detto prima che non c’è discriminazione? E non avevamo tutti appreso a memoria dai suoi legali la lezione dell’ Atto d’Amore per mettere a posto i nostri problemi di coppia su un piano legale?
Imma, orsù, segui i tuoi consigli e smettila di piagnucolare sul machismo in televisione e l’impossibilità di regolarizzare il tuo rapporto d’amore, dì alla tua bellissima compagna di fare coming out sul lavoro, poi andate a firmare il vostro Atto d’Amore e tutto va a posto! Perché poi non dai il buon esempio di contrasto al divismo delle leadership omosessuali e ti acquieti un po’?
Certo, se persino la tua splendida compagna non si sente abbastanza forte per vincere il clima di machismo nel suo ambiente lavorativo come fai a dire che non esiste discriminazione pensando anche a chi non ha neppure fatto il tuo stesso percorso di auto-affermazione? In finale come pensi di fare politica per tutti guardando solo al tuo ombelico, al mondo immaginario e al tuo percorso autocelebrativo a cui manca solo l’assunzione in cielo in gloria?

Una sola cosa mi sembra chiara in tutta questa vicenda: questa rinnovata visibilità mediatica di Imma Battaglia è assolutamente coerente e funzionale al nuovo clima politico in cui ogni cosa può essere detta e sdoganata senza destare scandalo e sorpresa, senza bisogno di ulteriore conferma della presunta autorevolezza autoreferenziale di chi parla, in cui la stampa rinuncia al suo ruolo di mediazione e di verifica delle informazioni e, per fare notizia e politica, si inseguono le ipertrofie dell’Ego di certi personaggi piuttosto che le idee.
A leggere queste interviste sembra di sentire Berlusconi che ci racconta di quando era operaio, di come si è fatto da solo, di come sia incompreso, dei suoi nemici ideologizzati, delle sue capacità taumaturgiche e profetiche, di come chi si oppone a lui non abbia ragione di esistere politica e legittimità democratica. Ci sembra di sentire Maria Antonietta che invita il popolo senza pane a magiare brioche!

Per concludere con un concetto politico che poi sta alla base, credo, di questa telenovela.
Dialogo a destra, al centro a sinistra, confronto con tutti e con i rappresentanti delle istituzioni, ma soprattutto, voglio dire con la società, l’opinione pubblica, i cittadini: bene.
Ma dialogo vuol dire avere posizioni chiare e richieste da rappresentare a tutti coerentemente e in modo univoco, non dire a ciascuno ciò che vuole sentirsi dire. Questo non è dialogo, è piaggeria!

martedì 7 ottobre 2008

Imma-tura, Imm-odesta Battaglia: puntata 1

Premetto che se finalmente mi sono deciso a scrivere di Imma Battaglia (so che per la sua ironia non se la prenderà per il titolo che vuole solo essere sarcasticamente provocatorio) e delle sue ultime dichiarazioni a mezzo stampa non è per evidenziare una divisione che è nei fatti e nei comportamenti concreti più che nelle parole, né per polemizzare a vuoto.
La ragione che mi muove è il desiderio di fare chiarezza su alcuni punti che giudico in modo critico e anche la sensazione che il suo posizionamento politico e ancor più il tipo di comunicazione e di messaggi politici che invia non sono innocui ma molto dannosi per tutto il movimento e per i gay, le lesbiche e i trans in Italia. Ciò non vuol dire che non riconosca validità ad alcune delle sue intuizioni, ma valuto in modo decisamente negativo l’impatto complessivo. Inoltre condivido pienamente quanto, prima di me ha detto Rossana Praitano sulla questione dell’Atto D’Amore e del confronto con Rotondi, per cui non mi dilungherò molto su quest’aspetto.
Per motivi di lunghezza divido questo intervento in due post successivi. Il Prossimo (più lungo) sarà messo on line domani intorno alla 12.

Le radici recenti della recente esplosione comunicativa di Imma Battaglia risalgono alle scorse elezioni, quando a seguito alla vittoria di Alemanno al Campidoglio e dell’ascesa di Berlusconi a Palazzo Chigi, ha deciso di prodursi in una nuova capriola politica con una decisa apertura di credito alla Destra di governo e l’intenzione di cavalcare il nuovo clima anche culturale.
Fin qui niente di male, se non fosse che questa apertura, da subito, non si traduce in un semplice e legittimo desiderio di dialogo o collaborazione o di processo di conoscenza reciproca con le istituzioni sul fronte dei diritti ma anche in una decisa ritirata sul fronte argomentativo e delle proposte.
In pratica per dialogare a Destra, Imma fa mostra di rinunciare preliminarmente, unilateralmente (cioè senza immediate, contropartite politiche) e senza condizioni a delle richieste e delle posizioni. In questo quadro matura la fuoriuscita dal tavolo del Pride e dal suo documento (percorso che fino a pochi giorni prima si era condiviso) perché troppo “antagonista” (la parola Testardamente proprio non andava bene, chiamare le cose con il loro nome e cognome neppure, etc.). Laddove riproponeva la medesima piattaforma dell’anno precedente.
Si stenta a credere che la stessa donna che dal palco del Pride 2007 ruggiva un aggressivo e decisamente impolitico “PRODIIII , GRASSSO DI MMERDAAA” si sia trasformata nel giro di una semplice settimana elettorale in una diligente YES WOMAN d’anticamere ministeriali.
Per inciso in quel discorso si rivolse anche Rutelli "ci devi conquistare". E poi a valutare la coerenza dei comportamenti non sembra che il Rutelli candidato alla poltrona di Sindaco abbia faticato molto a conquistarsi il suo appoggio.
Nel momento in cui persino una stampa spesso distratta registra un clima di violenza omofoba (e razzista) a Roma, la Battaglia si affretta a dire che non è vero che c’è l’omofobia a Roma e per dimostrarlo basterà la presenza del sindaco Alemanno alla chiusura del suo Village. Ci sembra di capire, peccato per qualche testa rotta che sta nell’ordine naturale delle cose. Mentre concordo pienamente con chi giudica inaccettabili, oltre che inutili, le richieste ai locali di Via San Giovanni in Laterano di guardie e sicurezza private, che ovviamente non risolvono il problema e vanno nella direzione del farwest della sicurezza promosso, ad esempio, dalla Lega.
In questa direzione anche le recenti affermazioni simil-Carfagna sull’editoriale di Merlo in cui, per criticare, in parte anche a ragione, un certo vittimismo del movimento, arriva a sostenere che in Italia non ci sono discriminazioni verso i gay ("Non se ne può più di questo bisogno di urlare una condizione che è normale, non ha nulla di particolare e che, detto seriamente, non subisce alcuna vera discriminazione".), sorvolando del tutto sui toni decisamente omofobi del giornalista che colpevolmente confondeva affetti e legami familiari con perversioni privatissime su cui non soffermarsi morbosamente. In nome di una pretesa normalità anche Imma nega a quel piccolo sfortunato nucleo familiare di essere menzionato come si farebbe se anziché ad essere due uomini e un bambino fossero stati un uomo, una donna e un bambino. Non è vittimismo denunciare in modo chiaro discriminazioni e omissioni della stampa né reagire con dignità e forza a un attacco senza precedenti mirante spudoratamente a giustificare un indecente e miope perbenismo di Repubblica. Ma su questo altri hanno già scritto meglio di me…
Poi ecco sbandierare un incontro con il Ministro Rotondi, impegnato a compilare una breve lista della spesa di diritti e doveri delle coppia (DiDoRe - leggete cosa ne pensano ElfoBruno e AnellidiFumo) per offrirgli il sostegno e l’appoggio che il resto del movimento non sarebbero pronti a dare loro. E soprattutto per presentargli la sua proposta: Atto d’Amore. Uno scarno contrattino predisposto dai suoi legali per aiutare le coppie che vogliono sistemare la loro situazione comune “a norme vigenti”. Il messaggio che ci sembra leggere al di à del tanto fumo? “Non abbiamo bisogno di parità, dignità e laicità (slogan ormai troppo antagonista?), ma siamo disposti a prenderci qualsiasi cosa facciate purché sia. Anzi, tutto sommato anche con le leggi vigenti, grazie alle mia strepitosa lungimiranza e ai miei super legali, ci siamo arrangiati bene se volete fare qualcosa che rimetta un po’ di ordine in quel che già c’è va benissimo, altrimenti se ci ricevete qualche altra volta a prendere il assieme va bene uguale”.
Preciso che muovo questa critica considerando il desiderio dei ministri Rotondi e Brunetta ad impegnarsi sul fronte delle unioni di fatto positivamente e la risposta che sembra ventilata del tutto inadeguata, soprattutto per le coppie omosessuali. L'atteggiamento di Battaglia invece è del tutto negativo perché isolato, ingenera divisioni, non mira a migliorare la in alcun punto la proposta ed è in contro tendenza rispetto alla chiarezza e pienezza delle richieste
Insomma tre anni di mal-di-pancia per far passare il movimento a chiedere finalmente piena equiparazione degli istituti giuridici mandati alle ortiche con un gesto, in nome di una presunta trasversalità politica, bruciati sull'altare di un presunto dialogo. Quello che forse Battaglia non coglie è che va bene il dialogo con tutti, trasversale, aperto, soprattutto con le istituzioni, se queste si dimostrano sensibili e disponibili. Ma dialogo a destra e a sinistra non può significare dire a ciascuno quel che si vuole sentir dire per il semplice piacere di accreditarci e farci dire bravi!
Piuttosto penserei ad una piattaforma chiara, completa, dettagliata e anche argomentata e sottoposta a tutto il mondo politico destra e sinistra. Una piattaforma che rappresenti per noi il punto più alto e pieno delle nostre rivendicazioni e che funga da punto partenza e unità di misura per il confronto per capire in che direzione ci si muove e per valutare l'impatto dei provvedimenti proposti.
Forse siamo noi comuni mortali a non avere chiaro qualcosa, ma non ci è sembrato che da parte sua si sia fatto questo. Quello che abbiamo visto è stata una corsa solitaria (staccata da tutto il resto del movimento) ad accreditarsi e a caccia di visibilità politica e mediatica. Una corsa che non sembra portare risultati concreti se non quello solito di fare apparire il movimento diviso e incapace di visione comune, indebolendone quindi qualsiasi posizione contrattuale.
Considerato ciò, nella assoluta incomprensibilità di un disegno politico è inevitabile che prendano corpo e voce anche i peggiori sospetti. Continua…

lunedì 6 ottobre 2008

Sguardi sull'Iran alla LUISS

Si è tenuta all'università romana LUISS una interessante incontro sull'IRAN e le sue prospettive politiche in attesa delle prossime elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 12 giugno.
L'incontro, diviso in due sessioni, è stato promosso e organizzato dalla Fondazione Vicino Oriente, in collaborazione con l'università, Radio Radicale, l'Istituto di Cooperazione Mediterranea della Provincia di Lecce e, credo, dell'Ambasciata iraniana /rettifica in commenti/, per cui ha tutti i pregi e purtroppo anche i limiti, di un incontro abbastanza istituzionale che ha lasciato poco spazio a una pluralità di visioni. In ogni caso molto centrato, in linea con il contesto accademico, su questioni di dinamiche politiche e istituzionali interne e di assetto regionale.
Se ne parlo qui non è per farvi un resoconto dettagliato di quello che si è detto (se siete interessati avete a disposizione la completa traccia audio e video degli interventi sul sito di Radio Radicale), ma per fare alcune brevissime considerazioni sugli spunti che mi hanno maggiormente colpito.
In primo luogo voglio dire che incontri di questo tipo, pur rivolgendosi ad un pubblico di addetti o interssati alla questione relativamente ristretto sono davvero preziosi per prendere conoscenza più diretta e informata con questioni, come ad esempio la vicenda del nucleare iraniano, di cui siamo solo vagamente a conoscenza dai TG.
Tra gli ospiti decisamente stimolanti le presenze di Faezeh Hashemi (figlia dell'ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani), Roshanak Siasi (dirigente del partito Kargozaran, uno della galassia che da noi viene definita riformista), Fereshteh Taerpour (produttrice e regista cinematografica).
Il vero limite nel seguire queste relatrici è stata la lingua (il Frasi o Persiano) tradotto in simultanea in modo marcatamente inadeguato.
Soprattutto le prime due erano pesantemente velate, secondo la più classica rappresentazione delle donne in Iran, ma sicuramente donne evolute, colte, impegnate in politica e nel sociale. probabilmente comunque espressione di una elite privilegiata.
La Hashemi non si è spogliata del suo ruolo di figlia di e a soprattutto rispondendo alle domande finali ha sostanzialmente criticato il ruolo dell'ex presidente riformista Katami ed enfatizato il ruolo e il peso peso politico del padre Rafsanjani. Nella sua relazione ha rinunciato a trattare il tema della "DONNA" che era previsto per sviluppare il tema delle riforme e del riformismo in ottica islamica e musulmana. La sostanza è che il riformismo in Iran può dispiegarsi nell'ambito consentito dalla cultura e dalla religione islamica perché altrimenti non avrebbe alcuna base sociale di sostegno. Il secolarismo come lo consideriamo noi non può quindi esistere nel contesto iraniano ma deve essere reinterpretato alla luce della cultura e della tradizione del Paese.
Il riformismo all'iraniana si deve quindi sviluppare su cinque punti: 1) diritti civili e umani; 2) competizione aperta tra i partiti; 3) riforme sociali; 4) rafforzamento della società civile rispetto al potere politico; 5) rispetto delle idee altrui e dialogo.
Ma le parole che davvero non mi aspettavo e che mi hanno decisamente stupito sono state le prime, in cui la Hasheni ha detto che in generale sul piano dei diritti umani e civili "Non vedo l'Iran in una situazione pessima. La vita sociale è basta sull'uguaglianza e la giustizia", mentre per quanto riguarda il sistema elettorale che prevede un pesante controllo preventivo di ammissibilità di partiti e condidtati da parte del Consiglio dei Guardiani, si tratterebbe per la Hashemi, di normali requisiti di ammissibilità paragonabili a quelli presenti nei paesi occidentali.
Per quanto attiene al sostegno fornito dall'Iran a Hezbollah e Hamas la Hashemi non ha dubbi nell'affermare che per loro questi non sono certo gruppi terroristici ma movimenti nazionalisti di difesa della popolazione dalle aggressioni israeliane. Ha anche sottolineato (in questo caso in modo senz'altro corretto) che nella sua storia più recente (ultimi 200 anni) l'IRAN non ha mai intrapreso guerre di aggressione verso i vicini ma è stato semmai vittima di progetti di sfruttamento delle maggiori potenze (Russia, Inghilterra, USA) o di feroci guerre di aggressione (Iraq): non si spiega, quindi, la diffidenza nei loro confronti.
Un po' più coraggiosa Roshanak Siasi, che ha parlato di un sistema politico chiuso che sviluppa problemi e diffidenza nella gente e quindi degli spazi e delle prospettive di intervento per il riformismo, alla luce anche degli errori che non ha problemi a riconoscere alla sua parte politica.
Interessante il passaggio in cui ha auspicato un dialogo costruttivo con gli Stati Uniti su un piano di reciproco vantaggio e rispetto (e con possibili protagonisti da entrambe le parte esponenti più aperti al confronto moderato degli attuali) e quando ha chiarito che il problema principale per gli iraniani non è certo avere il nucleare.
Della Taerempur riporto solo una frase: "Spero giunga il momento in cui l'arte sia liberata dalle influenze della politica".
Questi interventi sono stati preceduti da una interessante relazione di Vittorio Emanuele Parsi (università Cattolica di Milano) sull'importanza dell'Iran e sul nucleare, per cui vi rimando alla traccia audio. Il suo modo di guardare alla questione su scala regionale e globale, affrontando senza reticenze questioni di equilibri e di "psicologia politica", così come la questione del nucleare iraniano e delle possibili soluzioni ha sicuramente offerto numerosi spunti di riflessione e di conoscenza.
La sua conclusione è che non esiste una soluzione militare alla questione e che compito della Comunità internazionale è quello di evitare che il senso di paura possa spingere Israele (il rapporto con Israele e le ripetute minacce di Aḥmadinejād sono state più volte evocate nel corso dell'incontro) a sentire un pericolo mortale per la propria sopravvivenza che lo spinga a intervenire.
Le conclusioni sono state affidate a Massimo D'Alema, invitato in veste di presidente delle Fondazione Italianieuropei.
Sono stato molto positivamente colpito dall'estrema competenza, precisione e arguzia con le quali ha tirato le conclusioni di questa prima sessione. Non si è tirato indietro di fronte alle questini più spinose senza tema di correggere o contraddire con garbo alcune affermazioni delle relatrici, ma ha anche sottolineato gli errori storici dell'Occidente e i limiti attuali dell'approccio internazionale alla questione nucleare che, a suo modo di vedere (e condivido) non può essere trattata in modo disgiunto da una discussione complessivo dell'assetto e della sicurezza dell'intera regione, riconoscendo il ruolo dell'Iran nel contesto mediorientale e sciogliendo i nodi ancora aperti del conflitto israelo-palestinese e libanese. Non sono mancati i riferimenti alla sua esperienza di Primo Ministro e di Ministro degli esteri e al ruolo dell'Italia nello sviluppo del dialogo. Unico vero limite la sua scarsa disponibilità al confronto per cui subito dopo la conclusione del suo intervento si è affrettato (dopo aver brevemente risposto ad alcuni giornalisti) a lasciare la sala non rendendosi disponibile a rispondere a nessuna possibile domanda da parte degli studenti o di altri presenti.
Del resto una piccola critica la farei anche a Francesco di Leo (direttore del il Vicino Oriente) che ha condotto l'ultima parte di confronto con le domande, non consentendo di andare oltre le tre domande (che sembravano oltretutto programmate) /però vedi commenti/e impedendo, di fatto anche a me di porre la mia domanda (relativa ai diritti civili, tema decisamente trascurato) alle relatrici. Una piccola delusione.

domenica 5 ottobre 2008

Maroni e Gasparri contro donna italo-somala maltrattata

Qualche giorno fa era rimbalzata su tutti i giornali la terribile e scioccante denuncia di una donna italo-somala di 51 anni che ha accusato la polizia di frontiera dell'aeroporto di Ciampino di averla "umiliata, maltrattata e oltraggiata, tenuta nuda per ore".
Parole nette e dure che vengono riportate dall'associazione Antigone, accompagnate da altri crudi particolari sulla vicenda. Di fronte a una denuncia così grave, che si somma ai tanti altri episodi di questi giorni, ci si aspetta che i fatti vengano verificati con la massima cautela dalla magistratura e magari da scrupolose inchieste interne e ministeriali, o, per lo meno, un decoroso rispetto per la sofferenza in attesa di altri riscontri e chiarimenti. E Naturalmente come cittadini pretendiamo che se ci sono colpevoli vengano individuati e puniti a norma di legge.
Questo atteggiamento dovrebbe valere soprattutto per chi, ricoprendo un ruolo specifico di Ministro degli Interni, è chiamato innanzitutto a tutelare la sicurezza e la dignità di tutti i cittadini - ebbene sì anche quelli di origine straniera - e di tutte le persone presenti sul territorio stabilmente o temporaneamente.
Invece, il Ministro degli Interni Roberto Maroni decide di scendere nel confronto in modo parziale e partigiano, prendendo nettamente la difesa della polizia di Ciampino e dichiarando, addirittura che il suo ministero si costituirà parte civile nella vicenda per richiedere i danni alla donna: «È una clamorosa montatura, fatta anche dalla stampa, che non c’entra nulla col razzismo e non c’entra nulla con la prevaricazione della Polizia. Anzi, direi che è tutto il contrario. La Polizia, infatti ha applicato con rigore la legge. Per questo motivo è stata presentata un querela contro questa signora, alla quale io aggiungerò una richiesta di danni, costituendomi, come ministero, parte civile. Non si può permettere - continua Maroni - che si infanghi la Polizia accusandola di comportamenti razzisti. Ed è veramente incredibile che i giornali diano credito a queste affermazioni senza nemmeno riportare correttamente ciò che è stata l’azione della polizia».
Non resta che inchinarsi dinnanzi a tante certezze, anche perché se, invece, ad aver ragione dovesse essere la "signora" allora sarà il Ministero - cioè noi cittadini italiani e non Maroni di sua tasca, purtroppo - a sborsare ingenti danni!
Sono dell'idea che è proprio nel bene della Polizia, oltre che nostro, che certi fatti, quando accadono, vengano alla luce, isolati, chiariti, puniti.
In caso contrario finirebbero per infangare, magari ingiustamente, il lavoro e l'impegno di tanti altri, e per minare la fiducia dei cittadini nei loro confronti. Di più, persino un corretto spirto di corpo, senso dello Stato e del dovere dovrebbe spingere gli stessi colleghi a denunciare e a collaborare pienamente senza farsi offuscare la coscienza da una malinetsa e omertosa ndifesa settaria. Solo così si può evitare che fatti gravi, eccessi, abusi ed altri episodi sgradevoli possano ripetersi ed estendersi (e quindi inevitabilmente venire alla luce).

Quando c'è da lanciare fiamme senza necessità di analisi che spacchino il capello in quattro anche il capogruppo del PDL al Senato Maurizio Gasparri non si tira mai indietro. «Fa bene il Viminale a reagire alla somala che probabilmente mente attaccando la polizia. Tra la sua parola e quella degli agenti non ho dubbio a credere alla seconda».
Sono contento che anche Gasparri viva di certezze in un Paese che non ha avuto Bolzaneto e dove i diritti umani di base, soprattutto se non hai la pelle bianca sembrano diventare motivo di confronto aperto.
Trovo questo un esempio sconcertante di come troppi esponenti del PDL abbiano deciso di affrontare la questione del razzismo montante in Italia: NEAGANDOLO!
A me in tutta franchezza non importa un fico a chi crede Gasparri. Non ritengo certo di poter dare aprioristicamente ragione all'una o all'altra versione senza conoscere i fatti, ma a lume di naso non capisco come mai la donna abbia dovuto mentire su questo episodio, mettendo in campo una storia così circostanziata, dal momento che il suo fermo non aveva avuto strascichi legali negativi per lei. Mentre forse gli agenti che si sono lasciati prendere la mano avrebbero tutto l'interesse a insabbiare la vicenda.
Attendendo con ansia il risultato di inchieste indipendenti, preferisco intanto pensarla al contrario di Gasparri, proprio per la "grande stima intellettuale" che nutro per il personaggio! Dopo tanti anni di politica non ha ancora capito quando è opportuno tacere.
Del suo razzismo da bulletto ne facciamo volentieri a meno!

Napolitano papista?

Soltanto qualche giorno fa Antonio Di Pietro ha invitato Il Presidente Napolitano a non essere papista. Cioè a non fare generici inviti alla concordia ma assumersi in pieno le sue funzioni di garante della Costituzioni intervenendo sul Parlamento per sollecitare le nomine (Giudice della corte Costituzionale e Presidente della Commissione di Garanzia dell'informazione) ancora pendenti.
Di Pietro ha sbagliato. Ma non perché, come si è subito affrettato a dire Veltroni, non si possa mai criticare il Presidente della Repubblica... anzi...
Ma perché se il Presidente Napolitano fosse papista allora saprebbe decisamente come imporre la sua volontà, le sue priorità e le sue decisioni.
Conclusione? Ieri Ratzinger è stato in visita al Quirinale per dare lezioni private al nostro Presidente su come essere veramente papisti in Italia. Se avrà bene assimilato la lezione vedrete che il buon Tonino non avrà più a lamentarsi...

venerdì 3 ottobre 2008

Una lacrima sul viso

Una sola semplice lacrima sfuggita dice più di mille parole.
Al TG di oggi il resoconto quotidiano delle aggressioni razziste e violente sembra un bollettino di guerra. Non si è ancora spento il giusto clamore e lo sdegno profondo per quel giovane (e coraggioso) ghanese malmenato e dileggiato dalla polizia municipale di Parma. Poi ieri sera un 36enne cinese è stato assalito e picchiato a sangue da una baby-gang di bulletti di periferia al grido di "cinese di merda". I ragazzini non sembrano nuovi a queste scorribande e a quanto si apprende avrebbero aggredito altri ragazzi stranieri solo qualche giorno fa, ma, fermati dalLa polizia e riconosciuti da testimoni, si sgonfiano come bamboccetti e si mettono a frignare per il timore dei genitori, senza alcun segno di pentimento per la gravità dei loro atti verso le loro incolpevoli vittime. La paura è solo quella di essersi inguaiati con la giustizia e che i genitori possano arrabbiarsi (e c'è da sperare che qualche gaio lo passino davvero). Incredibile l'intervista a un'altro ragazzino della zona che serenamente dice: "ma non siamo solo noi ragazzi borgatari, sono anche loro che sono venuti qui nel nostro paese ci rubano il lavoro, ...."
Francamente non c'è neanche da fargliene una colpa se questo è il messaggio che passa attraverso le TV, i media e le dichiarazioni in libertà di certi politici irresponsabili che hanno deliberatamente mirato ad alimentare paure e a scatenare una guerra tra poveri per interessi di bottegaed elettorali.
Un messaggio che si fa senso comune, una politica della paura per il diverso di cui adesso raccogliamo non credoi frutti avvelenati.
Ma non finisce qui: anche oggi c'è il nuovo caso di un giovane senegalese colpito con una mazza da baseball al capo e sul corpo da due venditori ambulanti che ancora una volta condiscono il loro violento odio con insulti tipo "sporco negro, ci rubi il lavoro, tornatene a casa".
Più ancora del racconto spaventoso del ragazzo, della paura dipinta sul suo volto, più visibile dei segni della violenza sul suo corpo e del cerottone in testa, a colpire vermante al cuore è quella lacrima che gli sfugge alla fine sulla domanda della giornalista "vuoi rimanere qui in Italia?" "non credo".
Una lacrima che inumidisce un occhio. Una lacrima che riga una guancia. Una lacrima che vale più di mille parole e che dovrebbe fare riflettere.
Una lacrima che ha rigato anche la mia guancia. Che mi fa dire quando quel ragazzo se ne sarà andato perché non saremo stati in grado di accoglierlo e farlo senitire a casa sua, come sarebbe naturale e giusto, questo potrebbe non essere neppure più il mio Paese.
Un Paese che dimentica le sue radici e la sua profonda tradizione di accoglienza non è il Paese in cui voglio vivere e in cui voglio crescere i miei figli!

In coda alla biglietteria metrebus

Ieri è stata una di quelle giornate un po' campali e un po' sfigate che si sa quando iniziano e sembrano non terminare più.
Mi ero già alzato prestissimo perché avevo degli impegni mattutini e come prima incombenza della giornata intendevo rinnovare l'abbonamento annuale della mia vecchia metrebus card ormai scaduta (la tessera dei mezzi pubblici romani è per me strumento indispensabile di vita quotidiana). Nonostante tutti i tentativi la mia tessera non viene letta dal terminale e sembra essersi inesorabilmente smagnetizzata.
Naturalmente non dispero e, muntio del semplice biglietto da una corsa, mi imbarco sull'autobus diretto a Termini dove c'è una delle biglietterie centrali di Atac e dove, in passato, avevo ottenuta la mia card. Nonostante siano solo le 8:30 del mattino l'ampia camera con i vari sportelli è decisamente stracolma di persone, sopratutto anziani, che aspettano si accalcano, si incolonano o cercano di capire a chi rivolgersi per le loro necessità.
Pieno di speranza mi informo sullo sportello più appropriato al caso mio e prendo il numerino per il turno. L'attesa non è lunga, pee fortuna, ma l'esito è negativo. Non è più questo l'ufficio adatto ma mi devo recare a una delle biglietterie principali di Meterebus a Lepanto, Ottaviano, Anagnina e non ricardo che altro...
Be', a questo punto però devo anche rispettare i miei originari impegni per la giornata e decido quindi di posticipare la questione tessera e proseguo. alle 10, in zona San Giovanni, mi libero e munitomi di nuovo biglietto ordinario mi reimbarco sulla Metro A verso Anagnina.
Giungo all'unico sportello aperto della biglietteria Metrebus intorno alle 10:20, già abbastanza sorpreso della lunga e disordinata coda che si dispiega per l'atrio della stazione, ma in quel momento non posso immaginare che l'attesa si sarebbe conclusa, (coronata da successo), alle 13:07 (orario esatto di emissione stampigliato sullo scontrino del mio rinnovo).
In mezzo ci stanno oltre 2:40 di attesa in fila, in piedi - senza numeri - come ormai non avviene neppure nei più caotici e disordinati uffici postali.
La coda è però una soprendente occasione di chiacchiere e discussioni più o meno leggere, anche sull'attualità politica, sia interna che internzionale. Devo dire che nel corso della lunga e lenta attesa è stato piacevole conosecre, seppure nella fugacità di questo tipo di incontri alcune persone interessanti: un mezzo folle appassionato di taliban e della spiratualità battagliera e indomita degli "studenti di dio" e di altri movimenti di "liberazione" che mischiava in un caleidoscopio impazzito spunti interessanti e accessi di fanatismo, il quale dopo aver inveito ed essersi lamentato per tutto il tempo per l'inefficienza dell'attesa, è rimasto deluso dal non dover tornare presto a rinnovare la tessera proprio lì "perché per rivedere una donna come lei (la poverina disperata allo sportelli) avrei rifatto volentieri la fila"; Simonetta, insegnate anticonformista e, inevitabilmente, precaria dalle splendide letture e dotata di una delicata e rara capaicità di ascolto e confronto; Maran, donna irnaniana (anche lei molto informata e colta) scappata dall'Iran ormai komeinizzato nel 1989 e oggi, purtroppo, disoccupata ma con la singolarità di avere una cognata italiana che invece è andata a vivere in Iran e lì si trova benissimo con lo sposo del luogo!
Anche fare una fila può avere i suoi aspetti piacevoli e ineterssanti, ma la domanda resta: può una città come Roma permettersi di avere un solo sportello aperto in una grande stazione come Anagnina per il rilascio di queste tessere con file che costringono i martoriati utenti di un servizio già non spettacolare a perdere ore, e mattinate intere a chicchierare in coda? che ci dice Meterebus?

Per la cronaca sono riuscito a rimettere piede a casa solo alle 14:30!