(Articolo per Progress On Line)
Le elezioni USA hanno catalizzato l’attenzione globale sia a livello di opinione pubblica che di cancellerie, come evidente visto il peso della potenza americana sullo scacchiere internazionale.
In Israele, e in Medio Oriente, quest’attenzione si trasforma in interesse diretto, anche a prescindere dalla presenza diretta in Iraq, che ha trasformato gli Stati Uniti in un fondamentale attore di quello scacchiere regionale.
Infatti, il ruolo degli Stati Uniti nell’area, nel bene come nel male è stato sempre di primaria importanza. Implicazioni fondamentali politiche e persino psicologiche nelle relazioni di sicurezza e negli equilibri di forza. Per Israele, in particolare, sono implicati la percezione stessa della sicurezza nazionale e il futuro dell’assetto di pace con i palestinesi e con gli altri stati arabi, che, come appare evidente non possono certo prescindere dagli indirizzi che vengono da Washington.
Un presidente come Bush, decisamente poco apprezzato all’estero per il suo unilateralismo, l’atteggiamento manicheo della guerra al terrore e le sue prove muscolari di forza, non ha mai goduto di molte simpatie nelle diplomazie internazionali ma è stato un alleato fondamentale per Israele, che ne ha assunto appieno la dottrina. Basta pensare alla guerra in Libano dell’estate 2007, o alle pesanti rappresaglie militari verso Gaza, o ancora all’embargo finanziario ad Hamas (e al suo governo) considerata come un’organizzazione terroristica. La stessa guerra in Iraq, che in Europa non ha mai goduto di popolarità, è stata fortemente voluta da Israele, come anche l’atteggiamento intransigente, che non escluda l’opzione militare, verso la prospettiva di un Iran nucleare.
Non stupisce, quindi, la preoccupazione con cui si guarda in Israele a un avvicendamento alla Casa Bianca, soprattutto in favore in un Barak Obama, che ha già dato indicazioni di una netta discontinuità in politica estera rispetto al suo predecessore, parlando chiaramente di ritiro in tempi certi dall’Iraq, di dialogo con l’Iran e di impegno per la pace tra israeliani e palestinesi.
Naturalmente, il nuovo Presidente non intende allontanarsi dalla tradizionale alleanza privilegiata con Israele, ma ha ritenuto indispensabile, da candidato, un viaggio ufficiale in Israele per rassicurare tanto Gerusalemme che l’attento elettorato degli ebrei americani di cui non poteva permettersi certo di perdere l’appoggio, soprattutto in stati chiave come la Pennsylvania. Un elettorato che alle passate presidenziali aveva sempre premiato il candidato democratico (75% in favore di Karry nel 2004, 82% per Gore nel 2000, quando alla vicepresidenza era candidato il senatore ebreo Joe Lieberman) che aveva, probabilmente, maggiore fiducia nella contendente Hillary Clinton, e Obama non poteva dare per scontato. Alla fine, secondo i dati bel il 78% degli ebrei americani ha scelto Barak Obama contro il 21% del suo avversario repubblicano.
Eppure i Repubblicani di McCain hanno cercato di puntare decisamente sul voto ebraico, giocando molto a istillare il dubbio sulle passate relazioni e sulla più spiccata propensione al dialogo senza pregiudiziali del candidato democratico.
Partendo dai sondaggi iniziali della campagna, quando il 30% dell’elettorato ebraico era orientato a votare per McCain, un dato non scoraggiante dal quale i Repubblicani, avevano avviato una decisa campagna contro Obama, cominciata con la distribuzione di lettere e mail che speculavano sulla sua supposta fede musulmana, e culminata con il tentativo di dipingerlo come pro-palestinese e collegato a noti terroristi. In questa campagna i Repubblicani avrebbero speso circa 2 milioni di dollari in pubblicità su televisioni e giornali ebraici, puntando soprattutto su quegli stati in bilico conosciuti per le ampie comunità ebraiche, come Florida, Ohio, Pennsylvania, Virginia, Nevada (che poi sono tutti andati a Obama).
La Repubblican Jewish Coalition, aveva rilasciato un lungo paper propagandistico intitolato “Preoccupati su Barak Obama? Dovreste esserlo! Molti americani si pongono domande su Barak Obama e se le sue visioni siano buone per gli Stati Uniti e per Israele. E a ragione”. Sul documento si paragonavano le posizioni di McCain , Hillary Clinton e Obama su questioni sensibili come il futuro status di Gerusalemme, i rapporti con i leader “ostili” e la questione iraniana.
Nonostante gli sforzi il voto ebraico ha cominciato a orientarsi decisamente su Obama già a giugno. La scelta di Sarah Palin può avere avuto un ruolo in questa scelta perché le sue posizioni conservatrici sui temi sociali non coincidono con quelle della maggioranza degli ebrei americani.
Intanto, già all’indomani della sua elezione, giunge apprezzata in Israele la prima nomina del nuovo Presidente. Nel delicato ruolo di Capo dello staff della Casa Bianca, Barak Obama ha designato il vecchio amico e alleato di Chicago Rahm Emanuel. Quarantanovenne figlio di un immigrato israeliano e di un’ebrea americana, Emanuel ha servito nell’esercito israeliano e parla persino un po' di ebraico. Una fonte riservata di Ynet ha affermato che “Emanuel è pro-israeliano e non avrebbe preso in considerazione di accettare la posizione se il presidente-eletto Obama non fosse pro-israeliano”, mentre il vice presidente della Jewish Federation of Metropolitan Chicago ha ricordato la sua assidua partecipazione a eventi correlati a Israele come l’Indipendence Day (14 maggio) e la parata annuale per Israele.
Dal canto suo, l’attuale ministro degli esteri e candidata premier, Tzipi Livni, ha rassicurato sulla stabilità delle relazioni israelo-americane, ma, allo stesso tempo, ha sottolineato che gli Stati Uniti e la comunità internazionale faranno pressioni sul processo di pace nel caso che lo Stato ebraico si dimostrasse riluttante. Nel suo discorso alla Knesset di mercoledì scorso, la Livni ha detto che “Indipendentemente da chi sia al potere a Washington è importante capire che la relazione è reciproca”, per questo, ha poi notato, le elezioni israeliane in programma per il prossimo 10 febbraio “devono riflettere l’interesse del paese nell’avanzamento del processo di pace, altrimenti la comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, ci spingeranno in questa direzione”. “Israele deve sostenere i propri interessi nazionali e di sicurezza - ha aggiunto – che in ogni caso coincidono con gli interessi americani nella regione. Dire NO non ha mai portato ad alcun risultato diplomatico”.
In un'intervista a Radio Israele, Tzipi Livni ha, però, anche chiesto cautela nell’aprire un dialogo con l’Iran, che potrebbe essere interpretato come un “messaggio di debolezza” e si è detta “certa che gli Stati Uniti, anche con Obama, non saranno disposti ad accettare un Iran nucleare” escludendo seccamente l’appoggio di Israele a un’iniziativa di apertura degli Usa verso l’Iran. Parole che hanno il sapore di un chiaro monito.
L’elezione di Obama è stata accolta con favore anche sul fronte palestinese e nel mondo arabo, riaprendo le speranze per un processo di pace e di stabilizzazione regionale più equilibrato e rapido. Persino le dichiarazioni di ministri iraniani e siriani sembrano aprire nuovi spiragli di dialogo fino a ieri impensabili.
Andrea Maccarrone
2 commenti:
Mi complimento per l'articolo, il mondo avrà sempre bisogno di obamiani che lo siano a ragion veduta e non per partito preso, della asfissiante polemicuccia italiana tra finti obamiani non se ne può già più.
Mi ricordo, quando stava nascendo la candidatura Obama, delle obiezioni di una ebrea americana della high class che no, assolutamente no, il miglior candidato era la Clinton, Obama non sarebbe stato considerato nemmeno un presidente nero (a differenza di Clinton) e di quanto questo sia valso durante la campagna delle primarie e poi fino alle elezioni, giusto un paio di giorni prima del 4 Novembre c'era un articolo sull'Huffington tutto proteso a dimostrare che gli ebrei americani avrebbero votato in massa Obama.
La straordinaria intelligenza politica di Obama è stata quella di risolvere quella che poteva essere una questione spinosa con una scelta forte ed efficace.
Grazie Paolo,
naturalmente sono stato molto contento per l'elezione di Obama e spero faccia bene come ci si aspetta, anche se te temo che il passaggio da un sogno comunque realizzato e la realtà sarà comunque difficile.
Comunque Obama parte con un vantaggio: peggio di Bush è proprio difficile fare!
Per quanto riguarda quest'articolo sono partito da un presupposto diverso. Conoscendo un po' Israele e come importante sia il rapporto che ha con gli USA. Sapendo anche la sostanziale convergenza tra la politica di Bush e quella di Israele appunto (per lo stesso motivo Berlusconi, caso unico all'estero, gode in Isreale di una certa stima) mi sono chiesto come sarebbe stato accolto Obama, vista la campagna che gli hanno momtato sopra i repubblicani, e l'evidente intenzione di imprimere una svolta alle linee della politica estera americana. e di conseguenza come si è orientato l'influente elettorato ebraico, certamente attento alle istanze di sicurezza israeliane, negli USA?
Ho pensato che qualche risposta avrei potuto trovarla sulla stampa israeliana, nella quale mi oriento un po', e ho provato a mettere insieme le informazioni che ne ho ricavato. :)
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