L'altro ieri un lungo volo notturno mi ha portato da Milano a Tel Aviv. La partenza alle 23 con arrivo previsto intorno alle 3:30 della notte mi facevano prevedere una traversata dedicata al sonno, ma il ragazzo seduto accanto a me non è stato d'accordo e ha attaccato quasi subito bottone, quindi mi sono “adattato” a fare una delle cose che più amo al mondo: CONVERSARE. E non dico chiacchierare volutamente perché a volte la chiacchiera si eleva sopra il livello medio e diventa conversazione.
Elias è un ragazzo arabo, cristiano ortodosso, palestinese, di cittadinanza israeliana (come è complicato definire l'identità civica in certi casi) che vive in un piccolo villaggio della Galilea nei pressi di Haifa. Ha 17 anni e va a scuola. Cosa ci faceva in Italia? Con un gruppo di 10 ragazzi e ragazze, israeliani, ebrei, arabi, palestinesi di tutte e tre le cosiddette “religioni monoteiste” e con altri giovani tedeschi e italiani ha partecipato a un campo di pace di ben 12 giorni organizzato dall'Unione Europea sull'appennino Emiliano. Molto religioso, e allo stesso tempo molto aperto e rispettoso delle altrui opinioni, vivace curioso, pur studiando scienze è appassionato di filosofia antica e del mito greco, parla bene l'inglese, è stato anche in America e il tutto unito alla semplicità di un sorriso spontaneo e di una quotidianità che lo porta ad aiutare tranquillamente i genitori nel negozio di scarpe di famiglia.
Anche durante il volo scherzava e giocava coi compagni israeliani e mi ha espresso più volte la felicità per l'esperienza appena vissuta che gli ha fatto trovare nuovi amici, e capire meglio le prospettive altrui su una questione di “grande politica” ma che poi condiziona le vite di tutti loro profondamente. Lui, per esempio, non ha mai potuto incontrare i nonni materni che, fuggirono durante la guerra del '48 e adesso a 60 anni di distanza vivono ancora in un campo profughi libanese senza poter rientrare pur avendo la figlia e i nipoti qui in Galilea. Si sentono per telefono, o tramite internet, ma chiaramente non è la stessa cosa e la sua stessa mamma, che pure ha un doppio passaporto israeliano e libanese, non è andata mai a trovarli per timore di non potere poi tornare in Israele dalla sua famiglia... Colpisce come in questo racconto triste, non ci fosse rancore o odio, ma rassegnazione - come si trattasse di una cosa naturale ormai – illuminata da una flebilissima speranza che le cose possano ugualmente cambiare, forse un giorno non lontano...
Dopo 12 giorni Elias aveva voglia di tornare a casa: “perché si capisce quanto sono importanti per noi certe cose solo quando ne sentiamo la mancanza”, e soprattutto stanco della pasta servita nel monastero di Monte Sole, voleva riassaggiare le delizie arabe preparate dalle mani di mamma. Molto italiano in questo, no?
Naturalmente ci siamo scambiati i contatti e mi ha anche invitato a visitare il suo villaggio in modo da poter assaggiare di persona le specialità di casa. Non so se andrò, ma intanto voglio dire ad Elias:
Auguri, spero che realizzerai i tuoi sogni e crescerai conservando questa apertura, curiosità e questo spirito di incontro. Spero che potrai vivere in un Paese finalmente in pace e che riuscirai ad abbracciare i tuoi nonni.
Elias è un ragazzo arabo, cristiano ortodosso, palestinese, di cittadinanza israeliana (come è complicato definire l'identità civica in certi casi) che vive in un piccolo villaggio della Galilea nei pressi di Haifa. Ha 17 anni e va a scuola. Cosa ci faceva in Italia? Con un gruppo di 10 ragazzi e ragazze, israeliani, ebrei, arabi, palestinesi di tutte e tre le cosiddette “religioni monoteiste” e con altri giovani tedeschi e italiani ha partecipato a un campo di pace di ben 12 giorni organizzato dall'Unione Europea sull'appennino Emiliano. Molto religioso, e allo stesso tempo molto aperto e rispettoso delle altrui opinioni, vivace curioso, pur studiando scienze è appassionato di filosofia antica e del mito greco, parla bene l'inglese, è stato anche in America e il tutto unito alla semplicità di un sorriso spontaneo e di una quotidianità che lo porta ad aiutare tranquillamente i genitori nel negozio di scarpe di famiglia.
Anche durante il volo scherzava e giocava coi compagni israeliani e mi ha espresso più volte la felicità per l'esperienza appena vissuta che gli ha fatto trovare nuovi amici, e capire meglio le prospettive altrui su una questione di “grande politica” ma che poi condiziona le vite di tutti loro profondamente. Lui, per esempio, non ha mai potuto incontrare i nonni materni che, fuggirono durante la guerra del '48 e adesso a 60 anni di distanza vivono ancora in un campo profughi libanese senza poter rientrare pur avendo la figlia e i nipoti qui in Galilea. Si sentono per telefono, o tramite internet, ma chiaramente non è la stessa cosa e la sua stessa mamma, che pure ha un doppio passaporto israeliano e libanese, non è andata mai a trovarli per timore di non potere poi tornare in Israele dalla sua famiglia... Colpisce come in questo racconto triste, non ci fosse rancore o odio, ma rassegnazione - come si trattasse di una cosa naturale ormai – illuminata da una flebilissima speranza che le cose possano ugualmente cambiare, forse un giorno non lontano...
Dopo 12 giorni Elias aveva voglia di tornare a casa: “perché si capisce quanto sono importanti per noi certe cose solo quando ne sentiamo la mancanza”, e soprattutto stanco della pasta servita nel monastero di Monte Sole, voleva riassaggiare le delizie arabe preparate dalle mani di mamma. Molto italiano in questo, no?
Naturalmente ci siamo scambiati i contatti e mi ha anche invitato a visitare il suo villaggio in modo da poter assaggiare di persona le specialità di casa. Non so se andrò, ma intanto voglio dire ad Elias:
Auguri, spero che realizzerai i tuoi sogni e crescerai conservando questa apertura, curiosità e questo spirito di incontro. Spero che potrai vivere in un Paese finalmente in pace e che riuscirai ad abbracciare i tuoi nonni.
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