venerdì 10 ottobre 2008

L'Omofobia non passa mai di moda

L'Omofobia non passa mai di moda (articolo pubblicato su Aut di ottobre)

Al rientro dalle vacanze la speranza è sempre quella di poter registrare e segnalare qualche positiva novità o almeno qualche luce di speranza che addolcisca il rientro al lavoro dai mari e dai monti.
In effetti qualcosa di buono di cui parlare lo avremmo anche avuto: proprio a inizio settembre, durante la conferenza EPOA di Zurigo, Roma ha ottenuto di poter organizzare l’EuroPride 2011. Un successo che riporterà un grande evento internazionale nella capitale dopo ben 11 anni dal World Pride del 2000 e che ci riempie di gioia, speranza e anche responsabilità. Di questo, e delle prospettive di impegno che si aprono adesso avremmo voluto parlare più a lungo in questo numero di Aut.
Poi, però, al rientro in Italia, dall’emozione di Zurigo, abbiamo dovuto fare i conti con la cappa opprimente del nostro Paese e ci siamo da subito confrontati con i nuovi episodi di violenza omofoba che attraversano lo stivale da Nord a Sud. Ci è parso che la gioia per un successo, pur così significativo, dovesse lasciare posto a una riflessione più amara ma assolutamente necessaria.
Le aggressioni, le uccisioni, le violenze di trans a Genova, Milano, Bologna, Bari, dopo quelle da noi denunciate la scorsa primavera qui a Roma, sono ormai quasi routine quotidiana che rischia di passare pressoché inosservata e di lasciarci indifferenti. Invece voglio iniziare proprio da loro, dalla famosa T della sigla GLBT, che troppo spesso tendiamo a trascurare colpevolmente. Le trans, soprattutto se straniere, sono infatti un anello particolarmente debole della nostra comunità, necessariamente visibili, spesso con problemi di documenti che non corrispondono alla loro identità sociale, con difficoltà inimmaginabili per chi non vive questa condizione in prima persona nel trovare lavoro, alloggio e una vita sociale che non sia la strada. Spesso sono vittime dei balordi e dei violenti, dei loro stessi “clienti” che si trasformano in violentatori, rapinatori o assassini, e anche della rabbia dei comitati di quartiere e delle stesse forze dell’ordine che vedono in loro solo un problema di decoro delle strade, di ordine pubblico e di immigrazione e si dimenticano che sono persone e non “animali”. Uno stato di cose già grave che la politica delle multe inaugurata da molti sindaci, come da Alemanno a Roma, e la criminalizzazione voluta dal Ministro Carfagna non potranno che aggravare, magari rendendo anche ricattabili le prostitute transessuali (e non).
Se le aggressioni, le violenze, gli insulti omofobi hanno avuto un preoccupante andamento crescente già negli ultimi anni, indubbiamente questi episodi sembrano essere ulteriormente aumentati negli ultimi mesi, con il ripetersi di attacchi ai danni di lesbiche e gay, siano essi soli o in coppia, in molte delle principali città italiane. A Napoli una ragazza lesbica è stata colpita in fronte da un bicchiere lanciatole assieme alla solita gragnola di insulti ignoranti, e poi anche sollecitata a non presentare denuncia dagli stessi esercenti della zona. Anche a Roma una ragazza che lavora al Coming Out è stata inseguita e picchiata, scritte inneggianti ai forni crematori sono comparse su via di San Giovanni in Laterano di fronte a una gelateria punto di riferimento per la comunità romana e una coppia di ragazzi che camminavano insieme mano nella mano sono stati insultati e pestati da un gruppo di dieci giovani in via dei Fori Imperiali. Negli scorsi mesi altre scritte, un figlio accoltellato dal padre perché gay, una figlia accoltellata dalla madre perché lesbica, l’assalto squadrista al Circolo Mario Mieli, ragazzi aggrediti alla stazione Termini o in via del Corso a Roma. Per non parlare dei fatti gravissimi che hanno investito le scuole italiane con ragazzini indotti al suicidio o pesantemente bullizzati per la sola colpa di non rientrare nei canoni macho standard o per il sol fatto di fare danza anziché calcio (Come in Billy Elliot).
A voler fare una lista completa quest’articolo di trasformerebbe in una sorta di bollettino di guerra.
Dico subito che non sono tra coloro che attribuisce la recrudescenza omofoba degli ultimi mesi a Roma e nel resto d’Italia ad Alemanno e/o al Governo Berlusconi. Il fenomeno è più radicato e sicuramente precedente le elezioni. Va quindi affrontato e analizzato anche da altri punti di vista, non solo e non strettamente politici. Semmai sono dell’idea che l’omofobia, così come la crescente violenza razzista, o un certo revival dell’integralismo cattolico, e la sessa vittoria della destra, siano tutti insieme i risultati di un clima sociale e culturale di paura e diffidenza, questo sì, spesso alimentato ad arte con la connivenza colpevole dei media, per interessi politico-elettorali, che poi sfugge di mano ai suoi stessi artefici come ad apprendisti stregoni.
Proprio per questo non concordo per nulla neanche con chi, come Imma Battaglia, si affretta a dire che l’aggressione dei ragazzi ai Fori Imperiali è un “episodio grave da perseguire ma occorre evitare allarmismi e strumentalizzazioni. Roma è città aperta ai gay”, mentre riguardo a un’altra vicenda che ha animato il dibattito estivo, sull’omissione da parte della maggior parte della stampa e della tv italiana della condizione familiare di Domenico Riso, scomparso nell’incidente aereo di Madrid assieme al compagno e al figlio, interviene con una lettera su Repubblica in cui afferma: “Non se ne può più di questo bisogno di urlare una condizione che è normale, non ha nulla di particolare e che, detto seriamente, non subisce alcuna vera discriminazione”. Battaglia assume, in pratica, la stessa linea della Carfagna quando, appena insediatasi ha criticato il Pride dicendo che non serviva anche perché non c’erano discriminazioni verso i gay.
La mia impressione è che nell’aumento dei casi di violenze omofobe ci siano due fattori causali convergenti. Da un lato negli scorsi anni le tematiche relative al riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali hanno acceso il dibattito pubblico e portato a un’esasperazione dei toni allarmistici da parte della Chiesa e di molti esponenti politici a destra ma anche nel Partito Democratico e talvolta persino a sinistra, che hanno additato la “lobby gay” o gli omosessuali, come causa di disgregazione dei valori familiari, dell’identità culturale italiana, come portatori di disvalori morali, etici, di mal costume, disordine, decadenza etc. Molte sono state le invettive dai toni violenti e pesantemente discriminatori come quelle di Prosperini che auspicava la tortura della “garrota” per i gay, o Gentilini che invocava la “pulizia etnica”. Ma anche un Casini che, proprio in contraddittorio con chi scrive, ad Anno Zero, parla addirittura di “aberrazione” con riferimento alla possibilità che due uomini possano adottare bambini. Ma ugualmente tutte quelle terminologie e quei riferimenti discriminatori su “legami deboli”, “amori fragili”, “comportamenti disordinati” o “immorali” etc. Tutte queste dichiarazioni in libertà hanno di fatto ingenerato allarme e alimentato odio e diffidenza e, infine, armato violenti e bulli vari sempre a caccia di capri espiatori.
A questo si è andata ad aggiungere, d’altro canto, una sempre maggiore visibilità, ricerca di spazi, di contaminazione e di inclusione soprattutto dei giovani gay e lesbiche, che sempre più di rado sentono la loro condizione con senso di colpa o vergogna e vogliono poter vivere con normalità e semplicità, esattamente come tutti i loro coetanei, cercando la propria felicità e una piena e soddisfacente viva affettiva, amicale e anche sessuale.
Con tutta evidenza questo li porta a sottovalutare i rischi quando escono dall’alveo relativamente protetto delle zone di ritrovo e dei locali e li porta ad essere facili bersagli dei violenti, che proprio in questa maggiore visibilità finiscono per leggere un - per loro - “preoccupante” aumento dell’omosessualità, e puntano a spaventare, terrorizzare e ricacciare nei sottoscala i gay e le lesbiche. In questa direzione va per altro il logoro confronto sulla presunta ostentazione dei Pride.
Allo stesso tempo il maggiore coraggio e la maggiore consapevolezza di giovani gay e lesbiche li spinge a non vergognarsi o nascondersi e a voler denunciare le violenza subite con frequenza crescente rispetto anche al recente passato.
Se il nostro obiettivo è contrastare l’omofobia crescente non possiamo quindi che analizzare il fenomeno nella sua complessità sociale e culturale per cercare di offrire una ventaglio di risposte mirate e ad ampio raggio che ne prosciughino il terreno di coltura, coinvolgendo diversi soggetti a vario titolo coinvolti.
La visibilità va sicuramente incentivata e incoraggiata, magari anche a livello di personaggi noti che decidano finalmente di fare coming out, perché è l’unico mezzo di cui disponiamo per rendere la nostra presenza familiare e accettata dalla società che non ci veda più come sporadici esemplari zoologici o fenomeni da baraccone da additare con sorpresa o deridere (quando non aggredire appunto). Sicuramente vanno incrementati, stimolati e ampliati il più possibile, anche fuori dai principali centri urbani, gli interventi educativi nelle scuole, come quello che come Circolo Mario Mieli portiamo avanti da diversi anni. E in questo le associazioni glbt hanno bisogno della collaborazione e del dialogo con gli insegnanti, le famiglie e con le istituzioni scolastiche e locali che dimostrino sensibilità e impegno.
Un altro fronte su cui dobbiamo impegnarci maggiormente è il monitoraggio della stampa e dei media: un’informazione corretta ed equilibrata, un linguaggio appropriato e non discriminatorio, un’attenzione non morbosa delle trasmissioni di approfondimento ma anche di altri mezzi di informazione meno formali ma più diffusi (telefilm, cartoon, riviste popolari, film, libri) può offrire un grande contributo culturale. È imprescindibile, in questo, cerare alleati e confronto proprio tra i giornalisti e le persone che fanno e producono cultura.
Importante è anche non percepire l’omofobia come una questione avulsa e distaccata dal resto della realtà politica e sociale del Paese. Quale vera differenza c’è tra l’aggressione o l’uccisione di un ragazzo di colore a Milano, l’assalto a un campo Rom nel napoletano, le violenze a un anziano a Roma, le proteste contro una nuova moschea o contro il Pride, il ragazzo accoltellato a Palermo dal padre perché gay, La Trans violentata a Genova o uccisa a Pescara, gli assalti nazisti ai concerti o alle manifestazioni di sinistra? Sono tutti segnali di diffidenza e paura di ciò che è percepito come diverso, estraneo, ignoto, che poi vengono strumentalizzate dalla politica per controllare meglio la società (e vincere le elezioni) e dai capetti dei violenti per creare spirito di gruppo e coesione a scapito di qualche malcapitata vittima, oppure da certi annoiati bulli per assaporare qualche cruenta emozione tra i fumi di alcol e droghe. Tutti sono espressione di una società malata che non sa guardare al futuro con speranza e coraggio.
Noi, nel nostro piccolo, assieme a chi ancora ha voglia di lottare per l’uguaglianza e i diritti, per la democrazia, per il dialogo, a chi non ha voglia di farsi anestetizzare dal delitto di Cogne di Vespa e dagli angelus di Ratzinger, o imbonire dai venditori di ciarpame politico a buon mercato, possiamo essere un buon antidoto a questa barbarie. Rimbocchiamoci le maniche!

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