Una sola semplice lacrima sfuggita dice più di mille parole.
Al TG di oggi il resoconto quotidiano delle aggressioni razziste e violente sembra un bollettino di guerra. Non si è ancora spento il giusto clamore e lo sdegno profondo per quel giovane (e coraggioso) ghanese malmenato e dileggiato dalla polizia municipale di Parma. Poi ieri sera un 36enne cinese è stato assalito e picchiato a sangue da una baby-gang di bulletti di periferia al grido di "cinese di merda". I ragazzini non sembrano nuovi a queste scorribande e a quanto si apprende avrebbero aggredito altri ragazzi stranieri solo qualche giorno fa, ma, fermati dalLa polizia e riconosciuti da testimoni, si sgonfiano come bamboccetti e si mettono a frignare per il timore dei genitori, senza alcun segno di pentimento per la gravità dei loro atti verso le loro incolpevoli vittime. La paura è solo quella di essersi inguaiati con la giustizia e che i genitori possano arrabbiarsi (e c'è da sperare che qualche gaio lo passino davvero). Incredibile l'intervista a un'altro ragazzino della zona che serenamente dice: "ma non siamo solo noi ragazzi borgatari, sono anche loro che sono venuti qui nel nostro paese ci rubano il lavoro, ...."
Francamente non c'è neanche da fargliene una colpa se questo è il messaggio che passa attraverso le TV, i media e le dichiarazioni in libertà di certi politici irresponsabili che hanno deliberatamente mirato ad alimentare paure e a scatenare una guerra tra poveri per interessi di bottegaed elettorali.
Un messaggio che si fa senso comune, una politica della paura per il diverso di cui adesso raccogliamo non credoi frutti avvelenati.
Ma non finisce qui: anche oggi c'è il nuovo caso di un giovane senegalese colpito con una mazza da baseball al capo e sul corpo da due venditori ambulanti che ancora una volta condiscono il loro violento odio con insulti tipo "sporco negro, ci rubi il lavoro, tornatene a casa".
Più ancora del racconto spaventoso del ragazzo, della paura dipinta sul suo volto, più visibile dei segni della violenza sul suo corpo e del cerottone in testa, a colpire vermante al cuore è quella lacrima che gli sfugge alla fine sulla domanda della giornalista "vuoi rimanere qui in Italia?" "non credo".
Una lacrima che inumidisce un occhio. Una lacrima che riga una guancia. Una lacrima che vale più di mille parole e che dovrebbe fare riflettere.
Una lacrima che ha rigato anche la mia guancia. Che mi fa dire quando quel ragazzo se ne sarà andato perché non saremo stati in grado di accoglierlo e farlo senitire a casa sua, come sarebbe naturale e giusto, questo potrebbe non essere neppure più il mio Paese.
Un Paese che dimentica le sue radici e la sua profonda tradizione di accoglienza non è il Paese in cui voglio vivere e in cui voglio crescere i miei figli!
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